Con un termine usato e abusato si direbbe un prete di frontiera. Potremmo definirlo, invece, sentinella del territorio o testimone del tempo, in un quartiere di Caivano noto con il nome di Parco Verde. Don Maurizio Patriciello è parroco della chiesa di San Paolo Apostolo, editorialista su Avvenire e fautore di innumerevoli battaglie contro la Terra dei fuochi e la camorra. Il nostro viaggio sulla criminalità ai tempi del Coronavirus riparte proprio da lui e da quel famigerato parco, anche in questi giorni teatro di sofferenze e disperazione.
Quali ulteriori problemi gravano sulle spalle delle famiglie del Parco Verde con l’esplosione della pandemia da Covid-19?
“Noi abbiamo sempre avuto il problema della Terra dei fuochi, risultato degli sversamenti dal Nord Italia, ma anche una naturale conseguenza di tutte quelle aziende che qui lavorano in regime di evasione fiscale, con gli operai ‘in nero’ o sottopagati. Questi operai riuscivano a tirare avanti, in un modo o nell’altro. Con la pandemia, logicamente, sono state chiuse le fabbriche e tutte queste persone si sono trovate in mezzo alla strada, anzi chiusi in casa, ma senza lavoro. Ed è stato un momento veramente difficile, anche per noi. Perché, con le leggi così restrittive, per donare un pacco a chi ne aveva bisogno bisognava farlo quasi di nascosto. Io, di volta in volta, ho avvisato i carabinieri per farmi aiutare o permettere alle persone di venirsi a prendere qualcosa in chiesa. Questa pandemia si è abbattuta in modo fortissimo sulla vita dei cittadini che già vivevano in maniera molto precaria. Anche perché la maggior parte di loro non ha la possibilità di poter accedere a qualche aiuto. Lo stesso reddito di cittadinanza non basta e questa epidemia ha fatto emergere tutto il problema del lavoro sommerso che non abbiamo mai voluto affrontare”.
Le famiglie che hanno sofferto molto in questo periodo come sono state aiutate?
“Noi in questi giorni ci siamo dati da fare sia a livello di diocesi sia a livello parrocchiale. Abbiamo fatto il massimo, nonostante le chiese chiuse e l’impossibilità di celebrare le messe, dando fondo a tutto quello che c’era. In questo momento non bisogna fare troppi discorsi aleatori, ma letteralmente dare da mangiare agli affamati. Stiamo facendo questo ancora oggi, rispondendo in modo così elementare a questa emergenza. Quando la gente non può mettere il piatto a tavola bisogna dargli da mangiare, non puoi fargli un discorso generico sulla fame del mondo”.
A parte gli aiuti, chi vive di commercio o chi lavora ‘in nero’, come ha superato questa fase?
“Naturalmente le persone che hanno superato meglio questa emergenza sono state quelle con uno stipendio sicuro. Chi ha, invece, sofferto sono stati, ad esempio, i barbieri. Mi è capitato, a tal proposito, un episodio dolorosissimo. Un giovane per bene, che ha resistito alle sirene della camorra, della malavita organizzata, del fare i soldi facili, un giovane onesto, ma non solo onesto, perché chi vive così in questi quartieri è un eroe, un giovane che con mille sacrifici ha messo su una sua attività e va avanti senza diventare ricco, ma con dignità, mi ha colpito. Un giorno questo ragazzo, che in un mio articolo su Avvenire ho chiamato Gigi, con un nome di fantasia, mi ha guadato e mi ha detto: padre purtroppo io devo lavorare, non ce la faccio più. Ha incominciato a lavorare da clandestino, andando di nascosto nelle case a tagliare i capelli e a fare le barbe, perché la bolletta elettrica del negozio è arrivata ugualmente e il fitto al proprietario del negozio va pagato lo stesso. Sono queste persone che hanno subito un colpo molto forte dalla pandemia”.
Le risulta che anche la camorra ha provveduto alla consegna di aiuti e sostenuto le famiglie più bisognose?
“Questo è un discorso che si ripresenta in maniera ciclica. Nei giorni scorsi ho letto un articolo della mia amica e collega siciliana Alessandra Turrisi, in cui anche lei faceva questa osservazione nei confronti della mafia. Nell’emergenza la malavita organizzata, che si chiami mafia, ‘ndrangheta o camorra, si fa avanti. Si fa avanti a livello ‘alto’ per le persone che hanno bisogno di prestiti, altrimenti chiudono le aziende, che nella maggior parte dei casi diventano di proprietà dell’organizzazione criminale, con il titolare di oggi che si ritroverà a fare il prestanome domani, perché quel prestito ad usura non potrà essere restituito. In questo modo la criminalità riesce a tenere sotto controllo il territorio e le persone. È ciò che non deve avvenire, perché la camorra ha bisogno del controllo del territorio più dell’aria che respira. A parte quelle della chiesa, nonostante la chiusura per il Coronavirus, in questo momento le uniche porte sempre aperte sono quelle della camorra. È la dimostrazione, ancora una volta, che in ogni povertà la camorra trova il terreno fertile per far germogliare le sue piantine malefiche”.
Crede che la camorra in questo periodo abbia rafforzato il consenso nelle fila della popolazione?
“Certo, è normale. In questi giorni ho incontrato una donna buona, anziana, che mi ha detto ‘padre tutto quello che dite voi è giusto, però quando non c’è nulla queste persone ti permettono di mettere il piatto a tavola’. È proprio questo quello che non dovrebbe succedere. Quando non sai più dove andare a bussare quella è una porta sempre aperta. Il prezzo da pagare sarà altissimo, non ci sono dubbi, ma intanto chi è povero, insieme ai propri figli, è riuscito a mangiare. È una cosa terribile, che purtroppo in questi giorni è stata ancora più evidente ”.
(Il servizio fotografico è stato realizzato da Irene Angelino)
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