Napoli e i suoi misteri. Un argomento di cui si discute spesso, ma di cui è difficile parlare arrivando al grande pubblico in modo forte e diretto. A riuscirci è stato Alfredo De Giovanni, autore del romanzo Carafa. Il Sigillo del Cristo Velato, edito da Gelsorosso. Un thriller storico ambientato tra la Napoli contemporanea e il Sedicesimo secolo e che, tra misteri e colpi di scena, affronta temi complessi come gli equilibri tra ragione, tradizione e religione.
Da pugliese, come è nata questa passione per la storia e la cultura napoletana?
“Napoli fa parte della mia vita e mi ci reco spesso: ho origini napoletane, quindi sin da piccolo sono cresciuto in un clima partenopeo. Nel caso del mio romanzo, Napoli entra in scena perché mi sono imbattuto nella storia della famiglia Carafa, indissolubilmente legata a questa città. Tutto è partito da mia una visita a Villa Carafa, in Puglia, dove nel ‘600 vivevano i duchi Carafa. Mentre mi aggiravo nella villa, ho notato un’iscrizione su una parete: Amor Vincit Omnia. La cosa mi incuriosì e scoprì che la villa era stata abitata da Fabrizio Carafa, noto per la sua tormentata storia d’amore extra-coniugale con la principessa Maria D’Avalos. Una storia legata alla cappella Sansevero, nata come ex voto da parte della madre di Fabrizio Carafa. Così, Napoli è diventata lo scenario ideale del mio romanzo e mi sono dovuto documentare con un piacere enorme”.
Quanta ricerca storica c’è dietro il suo romanzo?
“La storia è la grande protagonista dei miei libri e, poiché mi piace essere il più possibile fedele alle fonti, c’è un’intensa ricerca storica dietro il mio romanzo. I protagonisti sono ovviamente inventati, ma lo sfondo è sempre reale. In questo caso lo sfondo era, appunto, Napoli,un luogo straordinario da un punto di vista storico. Una città sospesa tra ciò che si vede e una che non si vede: entrambe raccontano di una storia millenaria e di infinite storie da raccontare. L’approfondimento è stato lungo e appassionante. Inoltre, essendo io un geologo, sono particolarmente interessato al sottosuolo e Napoli, in questo, è un vero e proprio scrigno di tesori”.

In passato ha scritto anche un altro romanzo Otto. L’abisso di Castel del Monte. Che evoluzione c’è stata dal suo precedente al nuovo romanzo?
“Il primo romanzo è uscito per la prima volta nel 2010 e, avendo avuto un discreto successo, è stato edito poi due volte. I protagonisti sono gli stessi, così come il genere, ma cambiava il contesto che, in quel caso, era la zona di Andria-Trani e Castel del Monte. Insieme all’evoluzione dei personaggi, sono cresciuto anche io come autore attraverso diverse esperienze. Ma la passione resta la stessa: il racconto della storia e del territorio”.
Ci sarà un terzo romanzo?
“Proprio in questi giorni sto lavorando alla stesura di una terza storia. Posso anticipare che l’epicentro sarà sempre al sud, ma ci sarà anche un’ambientazione internazionale.
Il romanzo sarà imperniato intorno alla storia della Linea di San Michele, che unisce diversi luoghi in paesi diversi. Un percorso vecchio di quasi 1.500 anni”.
Nel suo romanzo si parla molto anche del rapporto tra regione e religione.
“Sì, si tratta di un argomento che mi è molto caro e che il mio romanzo affronta declinandolo in diverse forme. Il rapporto tra scienza e fede è intimamente legato a temi come quello dell’immortalità, della morte e della risurrezione, ma anche del corpo. Il corpo è un tema centrale nella dottrina cristiana. Il corpo come gabbia ma anche come elemento meraviglioso. Un concetto allo stesso tempo esaltato e condannato: questa ambivalenza torna spesso nella vita e nella mia storia”.
Sud, territorio e letteratura. La sua scrittura ha uno scopo in particolare?
“Ho molto a cuore il nostro territorio. Le mie storie vogliono stimolare la ricerca di percorsi turistico-letterari che possono arricchire ancora di più la conoscenza della nostra realtà storica. Se i territori vengono raccontati in un certo modo si stimola la curiosità e, di conseguenza, il turismo. È quello che ho provato a fare già con il mio primo romanzo. Una cosa interessante è che, da un punto di vista storico, davvero non c’è alcuna necessità di inventare. La nostra storia è incredibile. È questa la bellezza del sud: avere un patrimonio storico artistico che può essere fonte di ispirazione e che continua ancora e sempre a ispirare”.
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