La piaga del caporalato continua a insanguinare le campagne italiane, soprattutto quelle meridionali. Nonostante le varie misure legislative presenti da anni nell’ordinamento italiano e le azioni di contrasto messe in campo sempre più di frequente dalle istituzioni e dalle forze dell’ordine, infatti, ancora oggi, nel 2020, esistono migliaia di braccianti sfruttati, soprattutto nei campi, e vittime di abusi di potere da parte di imprenditori e caporali senza scrupoli. Un segnale forte contro tale pratica è, certamente, quello lanciato dal governo Conte all’interno del decreto Rilancio, grazie alle insistenze del ministro per le Politiche agricole Teresa Bellanova, a sua volta ex bracciante agricola in gioventù, che ha lottato per l’inserimento nel Dpcm dell’articolo 110-bis, la sanatoria per far emergere dal nero i migranti che lavorano nei campi. Il ministro Bellanova presentò in lacrime quell’articolo, durante la conferenza stampa congiunta di qualche settimana fa: “Voglio sottolineare – disse commossa – un punto per me fondamentale, l’emersione dei rapporti di lavoro. Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili“.
E domani il Viminale renderà noti i primi dati ufficiali collegati proprio alla nuova legge, che però è partita molto lentamente. Le domande di sanatoria presentate fino al 10 giugno, infatti, sono appena tredicimila, più altre seimila ancora in fase di presentazione. Quindi, decisamente molte di meno rispetto alle previsioni indicate all’interno del decreto Rilancio, circa 176mila per l’emersione dal lavoro nero e altre 44mila per i cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto. In ogni caso, le procedure possono essere portate a termine fino al 15 luglio (a meno di proroghe), ma i primi numeri non sembrano incoraggiare la svolta anti-caporalato voluta dalla Bellanova.
Il fenomeno del caporalato, purtroppo, non è nuovo, poiché nelle regioni dell’Italia meridionale già nella prima metà del Novecento sono tanti i casi di sfruttamento di lavoratori agricoli privati dei diritti più elementari. Per fortuna, già in quel periodo, si segnalano anche numerosi esempi di contrasto, sul territorio campano e lucano soprattutto. Basti pensare a figure importanti come quella di Rocco Scotellaro, lo scrittore e poeta che, in veste di politico, fin dal secondo dopoguerra partecipò attivamente all’occupazione delle terre incolte di proprietà dei latifondisti e fu tra i maggiori promotori della Riforma Agraria nel Meridione e, in particolar modo, in Basilicata, combattendo attivamente contro i “signori dei campi”. Campania, Puglia, Calabria e Sicilia sono ancora oggi le regioni più colpite, con i flussi migratori dall’Africa e dai Paesi in via di sviluppo che, in questi anni, hanno aumentato ancora di più i numeri del fenomeno, sempre più collegato alle logiche economiche neoliberiste dominanti. Nel solo comparto agricolo, il numero dei braccianti irregolari, tra italiani e stranieri, si aggira intorno alle 370mila-380mila unità.
Intanto, sono tanti i casi di cronaca che si susseguono l’uno dopo l’altro. Come quello di qualche mese fa in Campania, a San Tammaro nel Casertano, dove fu scoperta, grazie a un’indagine condotta dai carabinieri, un’azienda nella quale i lavoratori erano del tutto privi di contratto e sfruttati. Lo scorso 3 giugno, invece, in Sicilia, nei pressi di Caltanissetta, il trentacinquenne Adnan Siddique, un pakistano emigrato in Italia nel 2015, è stato ucciso a colpi di coltellate da altri quattro suoi connazionali all’interno della propria abitazione. Dalle indagini è emerso che il giovane è morto proprio per aver difeso i diritti dei lavoratori agricoli che, molto spesso, sono vittime di schiavismo da parte dei proprietari terrieri anche attraverso il controllo di caporali della loro stessa etnia. Siddique, in pratica, è stato ucciso anche perché “reo” di aver aiutato un lavoratore anziano, convincendolo e accompagnandolo fisicamente a sporgere denuncia nei confronti dei suoi sfruttatori. Senza distinzioni tra Nord e Sud, dunque, l’Italia è ancora oggi vittima dei caporali. I lavoratori nei campi, ma anche quelli nelle aziende manifatturiere, continuano troppo spesso a essere trattati come schiavi. E se ieri a subire tutto ciò erano soprattutto cittadini autoctoni, oggi – come detto – sono prevalentemente gli immigrati provenienti perlopiù dall’Africa. L’auspicio è che il rilancio dell’Italia post-Covid possa davvero passare anche attraverso una lotta sempre più serrata contro questo odioso fenomeno.
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