di Mario Schiavone
di Mario Schiavone
Di cosa scrivi durante questa quarantena?
“Sto lavorando per il cinema e la tv. Mi piacerebbe cominciare un altro romanzo, ma per ora non ce l’ho. Qualche idea vaga, niente più”.
Che cosa leggi?
“Sto leggendo un saggio di Stehpen Greenblat su Shakespeare. Si chiama Tyrant. È una riflessione davvero stimolante sul potere, sulla capacità dell’uomo a concepire e mettere in atto il male. Non conoscere la propria aggressività, il ‘mosto’ che ci abita, espone al rischio di diventare carnefici. Penso sempre che la Shoah, per esempio, oltre alla naturale compassione dovuta alle vittime, dovrebbe averci insegnato che, in determinate circostanze, in un certo momento storico, gli aguzzini avremmo potuto essere noi. Questo saggio, nel suo tentativo di comprensione della figura del tiranno, aggiunge appunto l’elemento della ‘banalità del male’ intesa come peculiarità dell’essere umano”.
Raccontaci una cosa bella che ti è accaduta in questo periodo.
“Abito nel centro di Roma. La cosa bella di questo periodo è la scomparsa del rumore. Normalmente sotto alle nostre finestre passano migliaia e migliaia di persone, si canta e si alza la voce fino a tardi. Ora tutto è restituito al silenzio. Un meraviglioso silenzio”.
Parlaci anche di una cosa brutta che hai vissuto in questo periodo.
“Fin troppo ovvia è la mancanza degli amici, il contatto fisico, il rito della cena, la possibilità di usare i propri sensi in diretta, senza la mediazione della tecnologia”.
Come immagini “il dopo” tutto questo?
“Non ne ho la più pallida idea. Davvero. Ma non mi aspetto dei grandi cambiamenti. Probabilmente sarà la mia origine agricola, però non mi sembra probabile che il mondo cambi per un’epidemia che, per quanto spaventosa e micidiale, rimane nell’ambito della normalità patologica con la quale conviviamo da sempre. Certo, sarebbe bello che questo strano intervallo che stiamo vivendo, stimolasse una seria riflessione su temi che sono fondamentali come il riscaldamento globale, il cambiamento climatico e l’innovazione e la ricerca scientifica, che sono le uniche risorse che abbiamo per sperare di cambiare davvero qualcosa”.
Antonio Leotti (Roma, 1958). Sceneggiatore e scrittore. Ha scritto a quattro mani con Luciano Ligabue la sceneggiatura del film Radiofreccia (1998), vincitore di tre David di Donatello, due nastri d’argento e quattro Ciak d’oro. Tra i suoi lavori come sceneggiatore: Il partigiano Johnny (2000), Amore che vieni, amore che vai (2008), Vallanzasca-Gli angeli del male (2010), Il paese delle spose infelici (2011), Era d’estate (2005). Nel febbraio di quest’anno è uscito il suo ultimo libro La forza della natura, pubblicato da Marsilio.
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