Sono per la maggior parte italiani, residenti nei Comuni della diocesi di Aversa, ma anche persone senza fissa dimora provenienti da altre regioni, gli utenti della mensa e del centro d’ascolto della Caritas cittadina, diretta da don Carmine Schiavone. Gli ultimi dati disponibili, che emergono dal dossier povertà “Ossèrvàti”, redatto nel 2018 dall’organismo pastorale della Cei, sono scioccanti.
Oltre il 50% di chi usufruisce quotidianamente dei pasti caldi offerti gratuitamente dalla diocesi e di chi si rivolge agli esperti dello sportello di orientamento e presa in carica dei soggetti in difficoltà economica, è nato e vive in Italia da sempre. Si tratta spesso di persone che hanno perso il lavoro e che non riescono neppure a mettere il piatto a tavola. La Caritas assiste, attraverso il servizio mensa e non solo, intere famiglie, cadute in disgrazia economica da un giorno all’altro.
La diocesi di Aversa è costituita da 29 Comuni: 10 appartenenti alla città metropolitana di Napoli e 19 che ricadono nella provincia di Caserta. Tutti i centri abitativi contano complessivamente 622.663 residenti, corrispondenti al 10,73% della popolazione della Regione Campania e a circa l’1% della popolazione nazionale.
Per quanto riguarda i redditi di chi abita nei Comuni della diocesi, il dossier prende in considerazione solo la quota complessiva dei contribuenti sulla popolazione e quella dei contribuenti che dichiarano reddito da lavoro dipendente. Nel primo caso, la media diocesana è pari al 47% ed è inferiore sia alla media nazionale, pari al 68%, sia a quella regionale, pari al 55%. Per contro, invece, la diocesi presenta una media di contribuenti con reddito da lavoro dipendente (rispetto ai contribuenti totali e non alla popolazione) più elevata di quella nazionale e cioè il 58% contro il 53%.
Questo è certamente un dato positivo, poiché indica una minore presenza di pensionati rispetto alla media nazionale e, quindi, una quota maggiore di popolazione in età lavorativa ed è, in effetti, il riflesso di quanto visto nell’analisi demografica. Resta, però, il dato fortemente negativo della quota di contribuenti sulla popolazione totale, che indica una ridotta capacità di produrre e dichiarare redditi da parte degli abitanti della diocesi.
Infatti, se si considerano i contribuenti che dichiarano redditi da lavoro dipendente in rapporto alla popolazione il dato diocesano si ferma al 27,2% (contro il 36% di media nazionale), mentre per quelli che dichiarano redditi da pensione, sempre in rapporto alla popolazione, il dato è pari a 12,3% (contro il 24% di media nazionale). Quest’ultimo dato, particolarmente basso, preoccupa non poco poiché non può essere spiegato interamente dalle differenze nella composizione per età della popolazione e, evidentemente, richiede approfondimenti ulteriori.
Passando, invece, ai valori medi reddituali dichiarati dalla diocesi, i dati indicano livelli più bassi rispetto a tutte le medie riscontrate. Infatti, il livello dei redditi dichiarati al fisco si colloca un po’ al di sotto sia della media provinciale napoletana sia di quella casertana, oltre ad essere inferiore alle medie regionale e nazionale.
Il reddito medio diocesano è pari a 15.075 euro (8.082 euro se calcolato in rapporto alla popolazione di 15 anni e più) contro i 16.158 euro della media provinciale di Caserta (9.800 euro) e i 17.857 euro della media provinciale di Napoli (10.175 euro). La media regionale è pari a 16.865 euro (10.250 euro), mentre quella italiana è pari a 20.352 euro (15.334 euro). In pratica, il reddito medio dichiarato dai contribuenti della diocesi è pari al 74% della media nazionale registrando così un gap del 26%
Considerando il reddito medio calcolato sulla popolazione di 15 anni e più anziché sui contribuenti, lo stesso gap balza al 47%. Questo perché, la quota di contribuenti con reddito imponibile dell’area diocesana sulla popolazione di 15 anni è più è pari a 57% rispetto al 79% della media nazionale. Non bisogna, dunque, guardare solo al reddito medio per contribuente, ma più propriamente al reddito medio dichiarato sulla popolazione di 15 anni e più per avere una misura più adeguata dell’economia locale. Per avere, invece, un’indicazione più appropriata sul piano sociale dovremmo calcolare il reddito medio dichiarato sulla popolazione totale. In questo caso, facendo gli opportuni calcoli, il gap raggiungerebbe il 50,2%.
A livello foraniale i divari sono abbastanza significativi: nella Forania di Casal di Principe si registra il livello medio più basso di reddito (12.085 euro). Livelli più bassi della media diocesana si registrano in quasi tutte le foranie, ad eccezione di quella di Aversa, di Fratta e di Giugliano che, quindi, si qualificano come le più benestanti.
In particolare, si notano anche divari significativi tra i Comuni. Aversa si colloca stabilmente al primo posto con un reddito medio pari 18.987 euro. I Comuni con la media più bassa sono Villa Literno (11.526 euro), Casapesenna (11.566 euro) e Casal di Principe (11.921 euro). Dopo Aversa, il Comune con la media più alta è Frattamaggiore (17.354 euro). Se, invece, consideriamo il reddito medio dichiarato sulla popolazione di 15 anni e più, i Comuni con le medie più basse sono Casapesenna (6.014 euro) seguito da Casal di Principe (6.087 euro) e San Cipriano (6.300 euro), tutti appartenenti alla forania di Casal di Principe.
Complessivamente, 22 Comuni si collocano al di sotto della media diocesana, mentre 7 (Aversa, Carinaro, Frattamaggiore, Giugliano, Succivo, Teverola e Trentola-Ducenta) si collocano al di sopra della media diocesana.
A livello diocesano, i contribuenti che dichiarano fino a 10mila euro sono il 45% contro il 30,5% a livello nazionale e il 41% a livello regionale. La quota di chi, invece, dichiara più di 55 mila euro è pari all’1,8% contro la media nazionale del 4,4% e quella regionale del 2,9%. Tra le foranie, quella di Aversa è quasi in linea con la media nazionale. Infatti, qui i redditi medi superiore a 55mila euro raggiungono il 4,2%, valore nettamente più elevato rispetto a tutte le altre foranie. La più bassa quota di redditi alti è presente nella Forania di Casal di principe (1%).
Ma chi si rivolge alla mensa della Caritas? Le cifre del dossier sono raccapriccianti: su circa 20mila pasti erogati in un anno (anche 200 al giorno in alcuni periodi), quasi la metà, 9717, sono consumati da italiani. Significativo è il dato che il 13% circa delle persone che si sono rivolte al Centro vivano in solitudine; di esse tre su quattro sono italiane. Ad usufruire della mensa, poi, sono gli ucraini, i più numerosi tra gli stranieri, e, a seguire, marocchini, rumeni, tunisini, albanesi, algerini, polacchi, russi, pachistani, libanesi e nigeriani.
Gli italiani, oltre a frequentare la mensa, si rivolgono anche al centro d’ascolto. “Sono disperati – afferma l’assistente sociale Emilio Di Fusco, che insieme ad altri colleghi e volontari ha redatto il dossier povertà per la diocesi di Aversa – poiché spesso hanno vergogna a parlare della loro condizione economica. Chiedono un aiuto per essere inseriti nuovamente nel mondo del lavoro, vivono con umiliazione la consumazione del pasto in mensa e la consegna, ogni tre settimane, del pacco alimentare”.
E non siamo di fronte solo a persone di ceto sociale basso, come si potrebbe superficialmente pensare, ma anche a professionisti in difficoltà. Tra i bisogni espressi emerge proprio la mancanza di soldi e di lavoro, ben il 38,6% degli utenti del centro d’ascolto Caritas, percentuali alte anche per i problemi di salute (7,3%), problematiche abitative (6,2%), difficoltà in famiglia (5,2%), disabilità (3,2%) e dipendenze (2,7%).
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