Cosa porta un docente di automatica presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università del Sannio a occuparsi di reti sociali? “Le reti sono il mio mestiere – risponde Francesco Vasca – le studio attraverso la matematica e le verifico nel concreto con mio impegno sociale sul territorio in cui vivo”. Membro del consiglio di Eupolis, la scuola socio-politica della diocesi di Aversa, Francesco Vasca è il nostro quarto appuntamento con i ‘Testimoni di terre campane’. Con lui parliamo di associazionismo e terzo settore, del delicato rapporto con la politica e di come non darla vinta alla criminalità organizzata.
Quanto influisce il terzo settore nei servizi resi alla comunità in un territorio come la regione Campania e in particolare nella zona a cavallo fra le province di Napoli e Caserta?
“Molto spesso nei territori dove la presenza politica è carente o anche in luoghi dove la politica è presente, ma l’ingerenza della criminalità organizzata è soffocante, in queste realtà il terzo settore rappresenta un elemento che si contraddistingue. Quasi sempre diventa il vero soggetto politico, con la P maiuscola, in questi territori con tante criticità sociali. Le azioni che vengono svolte dalle tante associazioni di volontariato, dalla Chiesa, ma anche da quelle laicali, costituiscono un seme di speranza. Riuscire a fare rete in queste realtà, diventa ancora più complesso, già solo fra le associazioni stesse. Fare rete dovrebbe essere un ruolo svolto dalla politica, che dovrebbe prendere questo tesoretto che c’è in territori così difficili è accompagnarlo. La politica deve sostenere e accompagnare queste realtà, però, senza avere la pretesa di controllarle. Il problema è che quando c’è uno scarso controllo politico, c’è una scarsa possibilità di uno scambio di voti. Non voglio generalizzare in maniera qualunquista, ma molte delle proposte politiche che ci sono, quando vedono la difficoltà di un ritorno diretto in termini di voti allora riducono la forza della loro azione. Qualcosa, comunque, sta cambiando”.
Essendo anche docente all’Università del Sannio e conoscendo, quindi, anche quel territorio, può dirci se e quali sono le maggiori differenze fra queste diverse zone della Campania?
“Sono due realtà, quella del Sannio e quella della periferia di Napoli Nord, fra le province di Napoli e Caserta, molto diverse fra di loro. Da un punto di vista di rete, la struttura del Sannio è più centralizzata. Benevento è un polo centrale e i paesi che circondano la città, ma anche lo stesso hinterland, sono strutture periferiche, con i valori e le difficoltà delle periferie. La realtà di Napoli Nord è multicentrica. La densità abitativa è elevata e questo moltiplica le problematicità sociali. C’è un’ingerenza più pervasiva della criminalità organizzata. In entrambi, però, ci sono tante iniziative orientate al bene comune che nascono dal basso. Sia nella struttura di rete multicentrica sia in quella centralizzata, un punto cruciale è l’attenzione alla differenze che vi sono sul territorio. Lo sforzo di dialogare tra realtà diverse, che è faticoso, porta a dei vantaggi sul medio e lungo termine. Quindi, ad esempio, a Benevento l’attenzione è verso i piccoli comuni e le contrade che si sviluppano intorno al centro cittadino, mentre nella zona compresa tra il Nord di Napoli e il Sud di Caserta l’interazione è tra i principali Comuni del territorio”.
Quale dovrebbe essere, secondo lei, il ruolo della Pubblica amministrazione nel rapporto con il terzo settore?
“Fare rete significa fare squadra. Il ruolo del pubblico all’interno di una squadra per il bene comune non è quello dell’arbitro. Secondo me il pubblico deve essere un giocatore, un giocatore che in tante realtà c’è. Bisogna riconoscere chi, con tanta fatica, all’interno del mondo politico o dei dirigenti pubblici si sforza nel portare avanti questo discorso di rete. Bisogna valorizzare queste competenze e questi comportamenti virtuosi. Tornando alla squadra, il ruolo del pubblico, secondo me, dovrebbe essere quello del portiere. Il pubblico, oltre a evitare di prendere gol, deve anche saper lanciare bene per mandare un attaccante in rete. Non, quindi, un ruolo uguale agli altri, ma insostituibile, che non può mancare in una squadra. Gli altri soggetti sono i giocatori che devono fare rete e soltanto interagendo fra loro ci riusciranno. Non mi piace vedere il terzo settore che sostituisce il pubblico”.
Qual è il maggiore difetto che riconosce nell’associazionismo del terzo settore?
“Sicuramente il riconoscersi. Da soli non si vince, ma non si gioca neanche. Spesso c’è ancora tanta voglia di primeggiare. Il ruolo di servizio, per ispirare il terzo settore, dovrebbe essere un ruolo di ‘cooperosità’. Non solo ‘coopetizione’, cioè quando unisci cooperazione con competizione. La competizione, quando è virtuosa, è positiva, dà gli stimoli giusti per migliorarci. C’è bisogno, però, anche di ‘cooperosità‘, cioè mettere insieme cooperazione con la generosità. Non significa annullarsi per l’altro, ma riconoscersi nell’altro. Si è generosi quando ci si concede e quando si dà la possibilità all’altro di concedersi. Il principio di generosità dovrebbe essere attuato anche nell’interazione tra associazioni di volontariato. Quale progettualità comune esiste? In molti lo fanno e sono esperienze positive, altri meno”.
Tornado al rapporto con la politica, c’è da tener presente che siamo ancora la regione con il maggior numero di Comuni sciolti per infiltrazione camorristica. Come invertire la tendenza?
“È una responsabilità di ogni cittadino. Noi abbiamo un momento di responsabilità che è quello più importante ed è anche il momento più concreto. È la X che dobbiamo mettere sulla scheda. Non possiamo solo lamentarci continuamente, bisogna poi passare all’azione. La prima azione concreta che possiamo fare contro la criminalità organizzata è il voto consapevole. È difficile trovare il candidato perfetto, il migliore al mondo e non abbiamo bisogno di salvatori della patria, né di eroi. Abbiamo bisogno di un processo di trasformazione e di miglioramento. Il momento del voto è il momento in cui esprimiamo la nostra fiducia nei confronti di altre persone, in cui riconosciamo in loro la qualità, la condivisione, la propensione al bene comune. È quello il primo momento in cui facciamo la vera lotta alla camorra. Dopodiché non possiamo immaginare che con uno schiocco delle dita il mondo diventi perfetto e che la politica si sia votata di colpo al bene comune. Non dobbiamo essere degli idealisti, ma dei realisti e in questo realismo dobbiamo capire il momento della nostra responsabilità. Il voto è il primo gesto di lotta che possiamo fare per contrastare l’ingerenza della criminalità organizzata nel sistema politico. Poi c’è la denuncia, lo sviluppo del territorio, le iniziative del terzo settore e quelle imprenditoriali”.
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