Un flashmob per difendere i diritti delle donne e la Legge 194 (sull’interruzione volontaria della gravidanza). La manifestazione è stata organizzata, oggi, 21 maggio, da ‘Ccà nisciun’ è Fessa’, rete territoriale napoletana che si occupa di interruzione volontaria di gravidanza e di salute sessuale e riproduttiva ed è andata in scena in Piazza Miraglia a Napoli.
In piazza con in sottofondo le registrazioni audio di testimonianze raccolte nell’ultimo anno, i ‘corpi’ presenti in piazza hanno rappresentato alcuni degli ostacoli che una persona che decide di abortire è costretta ad affrontare:
- consultori chiusi e mai più riaperti;
- assenza di informazioni chiare e corrette da parte delle Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere;
- numero irrisorio di centri IVG, di fatto operativi in maniera saltuaria, e percentuali elevate di personale medico obiettore;
- liste d’attesa lunghissime e linee guida ministeriali mai applicate.
Chi sceglie di abortire in Campania – è stato spiegato – “deve affrontare una vera e propria odissea da centro a centro, senza poter scegliere se affrontare un aborto chirurgico o farmacologico e rischiando addirittura di doversi rivolgere a centri privati o fuori regione“. “La tutela della salute sessuale e riproduttiva è un diritto fondamentale ma non realmente garantito, al netto dell’inefficienza dei servizi sanitari e il mancato accesso alle procedure mediche essenziali, come l’interruzione volontaria di gravidanza“.
Dalla mappatura dei consultori e centri IVG di “Ccà nisciun è fessa” è emerso che cosa realmente significa vivere in una regione in cui il personale medico obiettore sfiora il 77%, i centri attivi per l’IVG sono il 27,5% di tutte le strutture disponibili e il numero dei consultori attivi continua a ridursi drasticamente. A questo quadro si aggiunge “da un lato la totale assenza di programmi di educazione sessuale nelle scuole, a fronte di costanti tassi di violenza di genere in aumento, e dall’altro un accesso alla contraccezione a dir poco limitato“. “- Ccà nisciun è fessa – vuole ribaltare la narrazione che ruota intorno all’aborto, la retorica del senso di colpa, che dipinge chi ha abortito come una persona che ha subito un trauma, quando l’unico trauma è la continua messa in dubbio delle scelte sui nostri corpi”.