Al via oggi i tre giorni di rush finale per l’edizione online del Laceno d’oro Film Festival e intanto, sulla piattaforma MYmovies, è ancora possibile recuperare i film presentati in streaming durante la settimana di rassegna. Tra i sette lungometraggi in concorso, c’è un’opera prima davvero intensa che già si era fatta notare durante la Settimana della critica alla scorsa Biennale di Venezia: Bad Roads, esordio alla regia della sceneggiatrice ucraina Natalya Vorozhbit, che porta sullo schermo la guerra del Donbass lasciando però la battaglia fuori dal quadro e focalizzando lo sguardo sui riflessi del conflitto nella vita delle persone.
L’autrice, infatti, si concentra su quattro storie, quattro incubi a metà tra il kafkiano e il beckettiano calati in altrettanti non-luoghi (un posto di blocco, una fermata dell’autobus, un sanatorio abbandonato divenuto prigione, il cortile povero di una casa di campagna) che rappresentano con tragico umorismo o con cruda violenza la soglia tra realtà e assurdità dell’umanità negata in tempo di guerra. Tratto da un testo teatrale messo in scena al Royal Court Theatre di Londra nel 2017 dalla stessa regista, il film diventa così una simbolica indagine attorno alla deformazione dei sentimenti in un contesto bellico: dai soldati che scambiano un preside per un terrorista alla giovane nipote che bistratta la nonna benevola, dalla claustrofobica e sadica lotta tra un militare russo e una giornalista segregata fino al ricatto perpetrato da due contadini ai danni di una donna troppo gentile. Eppure, tra le vicende brutali e rabbiose raccontate (tutte ispirate a storie vere), Bad Roads sembra non rassegnarsi del tutto al male e così un barbaglio di fiducia si profila sul finale, quando un pianto di neonato entra in scena dai margini dell’inquadratura ripristinando, per un attimo, una pietà amorosa dentro l’inferno inumano.

Altro debutto al femminile, sempre nella sezione lungometraggi, è quello della regista tedesca cresciuta a Barcellona Salka Tiziana, che presenta in concorso For The Time Being. Per il suo lavoro d’esordio, la giovane cineasta torna nei suoi luoghi di infanzia, in Sierra Morena, per un film ispirato alle sue memorie di bambina. Il suo è un intimo dramma domestico che inizia come viaggio nato da un appuntamento (una madre che viaggia con i suoi due gemelli per trascorrere l’estate con il loro padre nella tenuta dove vivono la suocera e la cognata) ma che finisce per mettere al centro della narrazione la convivenza obbligata tra le protagoniste (tutte attrici non professioniste, eccezion fatta per Mélanie Straub) all’interno del paesaggio selvaggio e sospeso, straniero e familiare, della Spagna meridionale. Una dimensione formativa esperienziale e sensoriale, amplificata dalla gestione della pista sonora (lo spazio cruciale in cui la natura è sempre presente) e da una notevole fotografia curata dal produttore Tom Otte che ha girato il film combinando il formato digitale con pellicola 16 millimetri.

Dalla sezione Laceno d’oro Doc arriva, invece, un’opera italiana tutta figlia del lockdown di primavera: Dissipatio. Il lavoro, diretto da Filippo Ticozzi, con profondo lirismo (e con un’indovinata fotografia in bianco e nero) riesce, lavorando per accumulo visivo, a rendere palpabili all’occhio dello spettatore tutti quegli elementi che hanno caratterizzato gli spazi domestici immobili in cui il tempo sembrava disperdersi, dai libri accumulati sui comodini alle ceneriere colme di sigarette passando per le ambulanze in lontananza, le note vocali e i taccuini riempiti di pensieri.

In concorso nella stessa agenda c’è anche il documentario Strike or Die (Greve ou Creve) firmato da Jonathan Rescigno. Il regista, figlio di minatori immigrati italiani, dopo alcuni cortometraggi e videoinstallazioni, arriva al primo lungometraggio e lo fa riprendendo la sua città natale, Forbach, ex sito industriale della regione Grand Est. Rescigno, con estetica osservativa, si sposta tra le storie della contemporaneità (due amici figli di immigrati arabi, un uomo in pensione che dona cimeli al museo minerario, un lavoratore infortunato sul lavoro in causa col suo capo, un allenatore di boxe con i suoi giovani pugili) lasciando risuonare la memoria degli scioperi dei minatori che sconvolsero le strade francesi nel 1995. Ne vien fuori una simbiosi filmica tra passato e presente, in cui le immagini d’archivio delle rivolte di allora dialogano con la subdola violenza individualista della modernità e dove la nebbia dei fumogeni di ieri fa capolino nelle location di oggi come un fantasma di lotta che fatica a diradarsi.

Segnalazione speciale, infine, per Ponticelli terra buona, progetto sviluppato dagli allievi della FilmaP, l’Atelier di cinema del reale di Ponticelli coordinato da Antonella Di Nocera e supervisionato da Bruno Oliviero e Alessandro Rossetto. L’opera, presentata nella sezione-vetrina Spazio Campania, propone un ritratto della periferia Est di Napoli attraverso alcuni scorci di storie minime e rappresenta un esempio perfetto della ricchezza narrativa contenuta in un territorio lacerato in superficie ma ricco di storie nella profondità.
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