Il 19 marzo è un giorno di riflessione, di arrivo e di ripartenza del nostro vivere quotidiano. Un momento di approfondimento e di incontro, e per farlo potremmo partire da questa breve ma significativa frase: “Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili” tratta dal documento Per amore del mio popolo non tacerò, redatto da don Peppe insieme ai parroci della forania di Casal di Principe e diffuso a Natale del 1991. Una frase valida ancora oggi, in tempo di social, Coronavirus e guerra.
Don Peppe sapeva aggregare. Forse anche per questo la camorra lo ha ucciso nel giorno del suo onomastico, nel 1994. C’è l’impressione, per chi non lo ha conosciuto se non attraverso i libri o ascoltando i racconti di chi gli è stato amico, che don Peppe Diana avesse la capacità di unire con facilità estrema due parole che nell’immaginario collettivo sono sempre state sempre l’una agli antipodi dell’altra: ragione e sentimento. Che dire! Riusciva a rivoltare le coscienze o, se preferite, le anime. Lo faceva grazie a una lucida consapevolezza del reale (ragione), cioè la conoscenza di cosa stava accadendo in quel periodo storico a Casal di Principe e dintorni, e all’amore per la sua terra (sentimento).
Don Peppino Diana era un prete coraggioso e ostinato, con il cuore scout e il vangelo in mano, un uomo come pochi che non ha mai abbassato la testa di fronte a nulla. Era costantemente alla ricerca di una società più giusta e più umana, più equa nella distribuzione dei beni. Credeva nel principio che denunzia e modo di agire dovevano andare sempre e comunque nella stessa direzione. Poiché denunziare l’immoralità e il clientelismo, e nello stesso tempo servirsene come chiunque altro, voleva dire aiutare la mafia, la sua cultura, il suo potere, poiché la mafia non è frutto soltanto di cattivo funzionamento dell’ordine pubblico, ma è anche segno visibile che tutto il sistema è malato.
Era un parroco di frontiera, uno che combatteva una guerra impari contro la Camorra e che nel 1991 si fa promotore di un attacco diretto contro i clan di Casal di Principe e che a soli 36 anni, venne assassinato nella chiesa di San Nicola di Bari alle 7,25 del 19 marzo 1994. Di quel macabro assassinio sono stati ritenuti colpevoli e condannati all’ergastolo con sentenza definitiva Nunzio De Falco, mandante dell’omicidio, Mario Santoro e Francesco Piacenti, coautori materiali. Chi sparò materialmente fu Giuseppe Quadrano, poi collaboratore di giustizia, riconosciuto e accusato dall’unico testimone del delitto, Augusto Di Meo, amico fraterno di don Peppe.