Un gruppo di chimici ha annunciato di avere inventato una nuova plastica che si può riciclare un numero infinito di volte, senza perdere le sue qualità. Lo studio è stato pubblicato su Science Advances. La ricerca condotta da Allison Christy e Scott Phillips, ricercatori della Boise State University in Idaho (Usa), spiega come sia possibile trasformare questa sostanza (decisamente abbondante e prontamente disponibile) in un nuovo tipo di plastica riciclabile che potrebbe soppiantare quelle utilizzate oggi, spesso non riciclate o del tutto non riciclabili.
Le prospettive sono interessanti perché potenzialmente si tratta di un valido materiale di partenza per un’intera nuova generazione di materie plastiche riciclabili in un processo a circuito chiuso con rese maggiori del 90%, anche nel caso di miscele di più tipi di plastica, una cosa che oggi rende quasi impossibile riciclare efficacemente la plastica.

Di tutti i materiali più o meno riciclabili di uso comune per l’uomo, la plastica è quello che più viene sprecato: in Italia, per esempio, che è uno dei Paesi più virtuosi d’Europa in quest’ambito, il 43% della plastica raccolta viene riciclato, mentre il 40% viene termovalorizzato (è impiegato cioè per produrre energia attraverso la combustione) e il 16,5 finisce in discarica; negli Stati Uniti, per dire, la percentuale di plastica riciclata ogni anno è appena del 10%. È colpa di comportamenti poco responsabili, ma anche di un problema intrinseco della plastica, che risulta indebolita dopo ogni processo di riciclo, perdendo dunque resistenza strutturale e, di conseguenza, valore. E la nuova “plastica riciclabile all’infinito” promette di risolvere esattamente questo problema.
Christy e Phillips hanno sviluppato il nuovo tipo di plastica dalle caratteristiche simili a quella convenzionale ma che, a differenza di quest’ultima, non è ottenuta a partire da petrolio greggio o dai suoi derivati. In più avrebbe l’ulteriore vantaggio, suggerito dagli esperimenti di laboratorio, che circa il 93% di essa potrebbe essere riciclato in un processo a circuito chiuso, riottenendo materiali di partenza puliti anche qualora la plastica fosse mescolata a carta, alluminio o rifiuti non trasformati di altre plastiche. La nuova plastica è basata sul Poli(etil cianoacrilato) (Peca), ottenuto a partire dal monomero usato per realizzare la super colla ed è facilmente riciclabile, perché le sue lunghe catene polimeriche possono essere spezzate termicamente a 210 °C e i monomeri che se ne ottengono costituiscono un prodotto pulito e pronto da riutilizzare, al contrario delle plastiche normali che non si degradano ma si frammentano e si disperdono nell’ambiente sotto forma di microplastiche o nanoplastiche.

Come spiegano gli autori della ricerca, questa nuova plastica riciclabile, una volta prodotta su scala industriale, potrebbe sostituire il polistirene che non è accettato nella maggior parte dei programmi di riciclo e che oggi è utilizzato come materiale di imballaggio leggero, per contenitori per alimenti da asporto o per fare piatti, tazze e posate usa e getta. Purtroppo questi oggetti rappresentano solo il 6% degli attuali rifiuti di plastica, per cui anche sostituirli con nuovi materiali riciclabili sarebbe poco più di una goccia nell’oceano e, tuttavia, Christy e Phillips pensano che con il tempo la loro nuova plastica potrebbe offrire un’alternativa competitiva rispetto ad altre forme di plastica anche oltre al polistirene.
Il problema della gestione e smaltimento delle plastiche è complesso e se il riciclo può apparire come una strategia nobile, non ci si può limitare a questo aspetto ma devono essere messi in atto altri sistemi che coinvolgano i consumatori, i governi e i produttori. Da questo punto di vista si può riflettere su alcuni casi interessanti. La Norvegia, ad esempio, ha fatto grandi progressi nell’attuazione di schemi che hanno portato a riciclare il 97% delle bottiglie di plastica mentre, all’opposto, un recente rapporto di Greenpeace USA, ha rilevato che solo il 5% circa della plastica è attualmente riciclato negli Stati Uniti, dopo che l’industria cinese del riciclo ha smesso di accettare i rifiuti di plastica provenienti da altri Paesi. Viceversa, la maggior parte di questi rifiuti è prodotta da poche aziende globali, per cui si potrebbero avviare azioni per spingere queste aziende a sviluppare tecnologie alternative per ridurre la produzione di plastiche monouso, così da affrontare all’origine la principale causa della crisi mondiale dei rifiuti.
