Duro colpo quello sferrato stamattina al clan D’Alessandro, operante a Castellammare di Stabia e nei Comuni limitrofi, dai carabinieri del comando provinciale di Napoli, che hanno tratto in arresto 16 persone, delle quali 15 in carcere e uno agli arresti domiciliari. Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione continuata e in concorso, detenzione illegale di armi comuni da sparo. I reati sono tutti aggravati dalle finalità mafiose: secondo gli investigatori gli indagati hanno agito avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza al clan.
Il provvedimento delle forze dell’ordine deriva da un’ampia e articolata attività d’indagine condotta tra il 2017 e il 2020, la quale ha permesso di tracciare un quadro chiaro relativo alla struttura, i ruoli e le attività poste in essere dal clan D’Alessandro. Esso operava da sempre a Castellammare di Stabia, ma è stato capace di estendere il proprio raggio d’azione anche sul territorio limitrofo dei monti Lattari, pertinenza del clan alleato Afeltra-Di Martino, e fino alla Penisola sorrentina. L’articolazione criminale, stando a quanto emerso dalle indagini, vedeva come fulcro storici militanti del clan quali Sergio Mosca, detto “zì Sergio o’ Vaccaro”, Giovanni D’Alessandro, noto come “Giovannone” e Antonio Rossetti, alias “Guappone”. I tre erano tutti reggenti ad interim del clan e componenti di un direttorio creato in assenza degli elementi di spicco dei D’Alessandro, curando gli interessi della famiglia fino alle scarcerazioni eccellenti, sopraggiunte nel periodo successivo.
Sono state documentate diverse estorsioni eseguite dal clan D’Alessandro nel suo capillare controllo del territorio, avvalendosi del braccio armato costituito da A. L. e C. B., rivelatisi essere i custodi dell’arsenale del clan che provvedevano a nascondere in luoghi diversi, così da eludere i sequestri. Le indagini hanno, inoltre, consentito di accertare l’impiego anche di un imprenditore edile, L. P., chiamato a soddisfare gli interessi del clan attraverso servigi relativi alla partecipazione ad appalti pubblici, informazioni su aggiudicazioni di pubblici incanti, segnalazioni di imprenditori da avvicinare per l’impostazione del racket. I ricavi accumulati venivano, poi, reinvestiti nel giro dell’usura e, in questo modo, le rendite si moltiplicavano.
Le forze dell’ordine hanno, infine, effettuato attività investigative anche sul profilo patrimoniale dei nuclei familiari riconducibili agli indagati, che hanno portato all’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo relativamente a beni mobili (sei autoveicoli e due motocicli), immobili (due appartamenti), rapporti finanziari (11 tra conti correnti, libretti di risparmio, depositi di titoli e carte di credito), imprese (tre nel settore della ristorazione, dell’edilizia e della somministrazione di alimenti e bevande), e quote di società (due quote di società relative a imprese edili): il tutto per un valore complessivo di sei milioni di euro.
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