La crisi economica si è fatta sentire anche durante le festività natalizie e, di fronte a un quadro a tinte fosche, che ha colpito soprattutto il comparto agroalimentare e il settore legato alla ristorazione, che da soli incidono sull’economia reale per oltre il 35% del Pil nazionale, Confcommercio lancia l’allarme. Diversi comparti commerciali sono ormai al collasso e dopo il 31 marzo, data in cui sarà revocato il blocco dei licenziamenti, almeno un’azienda su tre sarà costretta a licenziare i propri lavoratori per poter sopravvivere. La cassa integrazione, infatti, è ormai ferma dal mese di maggio e gli ultimi ristori sono stati percepiti a novembre scorso. Le esposizioni bancarie, inoltre, risultano sempre più elevate, mentre le scadenze fiscali e gli incassi ridotti conseguiti nel mese di dicembre per effetto dell’introduzione dell’alternanza tra zona rossa e zona arancione in Campania hanno costituito una vera e propria “mazzata” dalla quale molti operatori economici difficilmente riusciranno a riprendersi.
“L’intera filiera è in ginocchio – denuncia con toni allarmistici Umberto Cinque, vicepresidente provinciale di Confcommercio Caserta – e non si intravede alcun spiraglio. Tanti commercianti e imprenditori stanno facendo i salti mortali per tenere in piedi le loro attività e si stanno facendo anche carico di tutte le spese, anticipando gli importi dovuti dallo Stato ai lavoratori. Ma non potranno reggere ancora a lungo. Un’attività su tre in Campania sarà costretta a effettuare tagli al personale quando terminerà il blocco dei licenziamenti previsto per il prossimo 31 marzo”. Cinque prosegue: “Di fronte a uno scenario così drammatico non comprendiamo i motivi per i quali non venga avviato dalle istituzioni un confronto serrato con gli addetti ai lavori e le associazioni di categoria. Urge un incontro per ribadire con forza le esigenze degli imprenditori, i quali non hanno bisogno di bonus o mance per sopravvivere, bensì di tornare a lavorare in sicurezza”.
Dello stesso avviso è Giuseppe Russo, presidente della Fipe Caserta, federazione italiana che si occupa di tutelare i pubblici esercizi. “Nella sola provincia di Caserta operano circa trentamila tra piccole e medie imprese – fa notare Russo – di queste, oltre diecimila si trovano in una condizione di grave crisi post-pandemica e almeno un terzo di loro non riuscirà proprio a riaprire i battenti. Dinanzi a questa situazione i ristori sono assolutamente inadeguati e insufficienti. Non bisogna dimenticare che in Campania, con l’istituzione prolungata delle zone rosse e arancioni, i giorni di chiusura e di riduzione delle attività sono stati maggiori che nel resto d’Italia. Nel mese di dicembre molte attività hanno potuto lavorare solamente da asporto e tramite delivery, rappresentando un svantaggio economico enorme”.
Sia Confcommercio che Fipe lanciano infine un appello unitario rivolto alle istituzioni regionali e nazionali al fine di adottare azioni tempestive per sostenere l’intero settore agroalimentare. Le due associazioni di categoria chiedono, inoltre, direttive chiare che permettano di programmare e pianificare le attività di lavoro così da evitare i disagi commerciali e le conseguenze economiche provocate da misure restrittive non concordate. Questo grave clima di incertezza e di indecisione economica che si è venuto a creare negli ultimi mesi, concludono nel loro appello, rischia infatti di creare danni economici e sociali incalcolabili e difficilmente risolvibili.
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