Era il 17 marzo del 2020 quando il Governo Conte II, vista la difficoltà nel reperire mascherine chirurgiche o FFP2 sul mercato, approvava il cosiddetto Decreto Cura Italia. L’allora commissario all’emergenza, Domenico Arcuri, ne comprò un ingente quantitativo. Ad oggi, ne sono rimasti 218 milioni di pezzi, stivati nei magazzini della SDA nel nord e nel centro Italia, e la struttura commissariale (ovvero noi cittadini) per lo stoccaggio paga ogni mese 313mila euro per tenere lì fermi dei prodotti del tutto inutili.
Mascherine mai richieste né dalle Regioni né dagli enti convenzionati e, soprattutto oggi non trovano più alcuna possibilità di impiego, considerato che sono dispositivi non certificati, con scarsa capacità filtrante e non conformi ai requisiti di legge, quindi, sono da buttare.
Ecco l’ennesimo spreco dei soldi pubblici, quello relativo alle mascherine pagate a peso d’oro a inizio pandemia e che si sono poi rivelate non a norma. Intanto, il commissario Figliuolo ha provato nei mesi scorsi a liberarsi delle 2.500 tonnellate di mascherine, pubblicando un avviso pubblico per cercare un possibile acquirente nella speranza che venissero rilevate per scopi industriali ma, alla fine impotente, con la determina n.175 ha affidato il servizio di smaltimento alla società milanese A2A Recyling Srl, a cui la struttura commissariale pagherà 698mila euro + Iva.
Nel frattempo, l’attesa nel procedere allo smaltimento ha comportato una conseguenza “salata”, infatti lo Stato italiano ha pagato negli ultimi otto mesi 2,5 milioni di euro per tenere le mascherine in magazzino. Come spesso accade, al danno si è ora aggiunta anche la beffa.