Dal 24 febbraio dopo che le bombe alle cinque di mattina hanno svegliato Kiev, Kharkiv, Kramatorsk, Mykolaiv dando inizio all’invasione russa del Paese la vita degli ucraini ha avuto una svolta epocale. La quotidianità di questa gente è mutata ed è ripensata con una rapidità che non ha precedenti.
Sono stati colpiti aeroporti, scuole, asili, ospedali; le strade sono militarizzate, la capitale e le principali aree metropolitane subiscono quotidiani bombardamenti, tutto è vuoto e barricato, o tutto è maceria laddove colpito dai razzi e dai colpi di artiglieria.
Ad oggi non è ben chiara la stima del numero delle vittime. In Ucraina è stata ripristinata la legge marziale, gli uomini non possono lasciare il Paese per la generale chiamata alle armi del presidente Zelensky. Le donne e i bambini, le ragazze e gli anziani spesso in compagnia dei loro amici a quattro zampe, invece, continuano a raggiungere i confini, quello polacco, ungherese, romeno, moldavo, cercando una via di fuga in un’altra nazione europea.
Migliaia di persone, che con lo stretto necessario cercano di sfuggire dall’orrore, a piedi o ammassate ad attendere un treno di evacuazione che vada verso ovest. Ed ecco, all’arrivo del convoglio sul binario la massa preme per entrare e affollare i vagoni. Madri, mogli, figlie e figli, costipati ed attaccati ai finestrini fino all’ultimo momento utile, per poggiare una mano sul vetro con gli occhi ormai consunti dalle lacrime e, dall’altra parte la mano dei padri, mariti, figli che restano sotto le bombe al fronte. Sono gli arrivederci della guerra, quei saluti che nei documentari di storia sembravano appartenere ad un tempo trascorso: un vago ricordo di una generazione di un tempo andato ed una pellicola da rivedere per i giovani d’oggi. Tutti, da una parte e dall’altra del vetro, sperano che quei saluti non si trasforminoin addii. L’esodo più rapido e completo che l’Europa abbia visto dalla seconda guerra mondiale.
Le città sono ormai vuote e spettrali, più di tre milioni di persone hanno abbandonato l’Ucraina, lasciando alle loro spalle strade lastricate di macerie, quartieri residenziali bombardati, le code per il cibo e per l’acqua, le fila per ore davanti alle farmacie sotto la neve.
E chi non è fuggito? Vive sottoterra, qui ha ricostruito una quotidianità negli scantinati o in metropolitana. Qui trascorre le giornate sperando, di aprire una pagina di giornale e leggere che la guerra è finita, che è stato dichiarato un cessate il fuoco, che si possa tornare a casa e continuare a vivere la propria vita normale. Scenari che poco più di un mese fa avevano nell’immaginario dell’esoterico e del fantascientifico hanno preso concretezza.
Ad oggi quel che è certo è che la guerra Russia-Ucraina piange, piange i suoi ragazzi, i suoi uomini, i suoi profughi, le sue macerie nella speranza di sopravvivere all’insensatezza di una storia che si ripete.
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