Per essere un debutto, senza dubbio la scelta di Nicolangelo Gelormini è stata molto coraggiosa, non solo per le tematiche trattate, ma anche per il contesto in cui ancora oggi viaggia l’intera vicenda. Il film, infatti, insieme alla produzione, è stato condotto in tribunale col tentativo di farlo ritirare dalle sale (a breve ci sarà un articolo dedicato al caso, con l’intervista esclusiva dell’avvocato Angelo Pisani alle redini dell’accusa). Senza approfondimenti sull’etica morale di situazioni come questa o analoghe (per fare un esempio la miniserie di Sky sullo storico caso di Alfredino Rampi che sarà disponibile a breve), è da considerare che Fortuna non smentisce né conferma alcuna delle tesi sui fatti e le ricostruzioni del caso di omicidio e pedofilia avvenuto nel Parco Verde di Caivano. Come possiamo leggere anche alla fine nei titoli di coda, il film non è da considerare una ricostruzione fedele dei fatti accaduti.
Un film letteralmente diviso in due, che si poggia su due dimensioni, una fiabesca e l’altra più realistica. Entrambe soffrono dello stesso dramma ed entrambe filtrate attraverso gli occhi della piccola protagonista (Cristina Magnotti), Nancy dapprima e Fortuna dopo. Il regista ci mostra le difficoltà psicologiche per un bambino nel vivere in un contesto del genere e soprattutto gli orrori che ne subisce. Non solo nel caso dei nomi di Nancy e Fortuna, ma anche tra le due versioni c’è un continuo scambio di significati ed elementi, come nell’identità della madre e della psicologa, interpretate da entrambe le attrici Valeria Golino e Pina Turco.
Una regia molto complessa per una storia altrettanto difficile, un montaggio che non sempre vuole essere invisibile, una gestione del sonoro altalenante, un’attenzione ai dettagli e ai simbolismi non indifferente e una fotografia maniacale fanno di Fortuna un film molto complesso e fortemente poetico. Da sottolineare come, l’utilizzo del formato 4:3 per la prima metà del film e la ricerca di inquadrature simmetriche con una fotografia a tratti onirica, rimandano a nomi noti come quello di Wes Anderson e non solo. Senza spoilerare nulla, l’ultima inquadratura del film, per quanto surrealista, ti lascia sperare in una giustizia che è al di fuori delle nostre possibilità.
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