La quotidianità di Enrica D’Aguanno si divide, anche in tempo di pandemia da Covid-19, tra la professione di art director nella quale da anni si distingue per la qualità dei prodotti editoriali sui quali mette la firma e il ruolo di docente presso l’Accademia di Belle arti di Napoli, dove dal 2014 è coordinatrice della scuola di Design della comunicazione, certamente una tra le più attive e all’avanguardia nel panorama accademico italiano.
Napoletana, formatasi all’Accademia di Belle arti di Urbino, D’Aguanno è tra le professioniste italiane più affermate e richieste nel campo del visual design, in particolar modo nei settori della comunicazione e dell’editoria, avendo realizzato in carriera come art director (prima per Electa Napoli, poi per Mondadori e dal 2009 per la casa editrice art’em) oltre novecento volumi, spesso di gran pregio e legati a eventi espositivi importanti come quelli dedicati ad artisti di fama mondiale come Caravaggio, Velasquez o Ribera.

Questa sua esperienza, fin dal 2007, la designer partenopea l’ha travasata nell’insegnamento in Accademia, come docente in quel corso di Graphic Design nato per impulso di Enzo Bergamene e dell’allora direttrice Giovanna Cassese e poi cresciuto negli anni sotto le direzioni di Aurora Spinosa e Giuseppe Gaeta per trasformarsi nell’attuale scuola di Design della comunicazione, che ha la sua bella sede a FoQus nel cuore dei Quartieri spagnoli in pieno centro antico di Napoli.
Incontrare Enrica D’Aguanno, in un momento storico caratterizzato dalla chiusura della didattica in presenza a causa dell’emergenza sanitaria in atto da ormai un anno a questa parte, significa anche riflettere con lei sul significato dell’insegnamento al tempo del Covid-19 – ancora di più per materie laboratoriali come quelle che si studiano in Accademia – e sulle possibili nuove frontiere della formazione che, inevitabilmente, dovranno tenere conto dei mutamenti verificatisi in questi mesi.
Professoressa D’Aguanno, qual è il bilancio di questo anno di pandemia in relazione alle attività didattiche che si sono svolte a Napoli in Accademia?
“Ne parlavo proprio l’altro giorno con i colleghi della scuola di Design della comunicazione, durante una nostra riunione online. Nonostante tutte le criticità dovute alla didattica a distanza e alla conseguente assenza di relazioni interpersonali dal vivo, sia tra noi docenti che con i nostri studenti, ancora più importanti in percorsi formativi fortemente laboratoriali come quelli che caratterizzano le accademie, ci siamo resi conto che in questo anno di lavoro siamo comunque riusciti a ottenere ottimi risultati, sia dal punto di vista del coinvolgimento degli studenti che per quel che riguarda i progetti scaturiti dai loro percorsi formativi. Il lavoro del designer, infatti, già da qualche anno s’è spostato in massima parte sul web, con team di lavoro che s’aggregano online e collaborano tra di loro a progetti che vengono realizzati da un capo all’altro del mondo oppure hanno a che fare con committenti che si trovano in un altro continente e con i quali ci si interfaccia in ogni caso attraverso lo schermo di un computer. Da questo punto di vista, la didattica a distanza sia teorica che laboratoriale sperimentata, per forza di cose, in questo anno ha semplicemente accelerato anche per i nostri studenti una serie di processi in atto da anni nell’ambito del mestiere che la quasi totalità di loro continuerà poi a esercitare al termine degli studi”.
Dunque, al termine dell’emergenza sanitaria, si potrebbe anche ragionare su alcuni possibili punti di forza della Dad e non soltanto sui suoi punti di debolezza?
“Intendiamoci, a tutti noi in questo anno è mancato tantissimo e continua a mancare il rapporto dal vivo con gli studenti e tra noi docenti, con quella ricchezza fatta di scambi di idee magari casuali dai quali a volte nascono progetti preziosi e con quella profondità di intervento didattico che a volte la distanza può ostacolare. Però, se ragioniamo sulla didattica a distanza anche come occasione, nel campo specifico del Design della comunicazione è indubbio che questa modalità di interazione abbia permesso agli studenti di confrontarsi con modalità di lavoro che per i designer sono così già da anni. Inoltre, nella nostra scuola lavoriamo molto proprio sugli ambiti del digitale e del multimediale e, quindi, in questo anno abbiamo potuto sperimentare con gli studenti soluzioni che certamente torneranno utili anche in futuro, quando saremo di nuovo tutti assieme in presenza nella sede di FoQus. Da questo punto di vista, la Dad ha fatto da acceleratore di processi già in atto e, in qualche modo, ha riallineato i tempi della professione di designer a quelli della formazione in questo stesso settore”.

Quella che lei coordina dal 2014 è una scuola nella quale s’intrecciano ogni giorno differenti saperi e profili professionali. Come si fa a tenerli tutti assieme in modo didatticamente proficuo per gli studenti?
“Fin dall’inizio, la scuola di Graphic Design poi ribattezzata Design della comunicazione ha messo assieme docenti che fossero al tempo stesso anche importanti professionisti nei loro settori di competenza, affiancandoli ad altri docenti più “teorici”, in modo da poter formare una figura di designer colta e dotata di conoscenze nel campo delle arti classiche e moderne, ma anche di un livello tecnico importante, all’altezza di qualsiasi committente. Al centro della nostra didattica c’è un’idea forte di progetto, che ci ha permesso di sperimentare sul campo assieme agli studenti, anche attraverso importanti committenze pubbliche”.
Quali sono le principali?
“Fin dal 2010, abbiamo portato avanti un’importante collaborazione col Comune di Napoli, per il quale i nostri studenti hanno realizzato i manifesti e l’immagine coordinata di manifestazioni significative come il Maggio dei monumenti, Estate a Napoli e Natale a Napoli. Da questa committenza sono scaturite anche due grandi mostre al Pan, il Palazzo delle Arti di via dei Mille, col coinvolgimento di tutto il corpo docente e con i lavori dei nostri studenti esposti per un pubblico di appassionati dell’arte e del design. Nel 2019, poi, all’Accademia è stata affidata la realizzazione della torcia delle Universiadi, ideata da una nostra studentessa e ammirata in tutto il mondo. Inoltre, abbiamo realizzato anche importanti progetti in collaborazione con l’acquario di Napoli e col museo del teatro San Carlo, per il quale abbiamo creato tutto il loro sistema di segnaletica inclusiva”.
C’è un progetto molto articolato, però, portato avanti in questi anni assieme al museo di San Martino. Di che si tratta?
“Questa con San Martino è stata una tra le esperienze più formative ed entusiasmanti realizzate assieme ai nostri studenti. S’è trattato di un vero e proprio progetto di scuola, che ha coinvolto quasi tutti i docenti del nostro biennio specialistico, ciascuno con le proprie competenze. Tutti assieme abbiamo lavorato al nuovo sistema di segnaletica e comunicazione dell’importante museo. Il gruppo di lavoro è stato coordinato dal docente di quelle materie, un professionista di grande valore come Massimo Colombo, ma tutti abbiamo dato un contributo collaborando fianco a fianco. Poi, proprio mentre stavamo lavorando a quel progetto è nata l’idea che lo ha ulteriormente ampliato: quella di realizzare un videogioco ambientato nel museo di San Martino e che potesse essere utilizzato anche come efficace strumento di comunicazione museale. A coordinare il tutto c’è stato un altro nostro docente specialista della materia, Pako Massimo. Ma la cosa più bella è che tanti altri nostri professori hanno dato il loro contributo: da teorici dei media e della comunicazione come Diego Del Pozzo e Adolfo Fattori alla storica dell’arte Federica De Rosa a tanti altri ancora. Siamo andati avanti un passo alla volta, partendo dai sopralluoghi addirittura nei sotterranei di San Martino, alla ricerca di atmosfere misteriose e suggestive. Il lavoro sul videogioco è durato due anni e, alla fine, ne è venuto fuori un prodotto bellissimo, completo e pronto per essere messo in produzione. Si tratta di un’idea alla quale teniamo molto e che potrebbe anche avere sviluppi ulteriori e più ampi”.

In che senso?
“Nel senso che quello dei videogames oggi è uno tra i settori in maggiore espansione, sia dal punto di vista culturale che industriale. E ci piacerebbe molto potervi dedicare ancora più spazio nell’ambito della nostra scuola, magari specializzando ulteriormente il nostro indirizzo Multimedia in tale direzione. Potrebbe essere un altro interessante sbocco professionale per i designer che formeremo qui da noi. D’altra parte, oggi il design sta vivendo un momento di profondi cambiamenti, con l’innovazione e le nuove tecnologie che diventano di giorno in giorno sempre più centrali”.
Anche in questo progetto tutti voi avete intrecciato tra loro differenti saperi e contributi professionali?
“Sì, perché è una cosa alla quale tengo molto e che oggi è sempre più necessaria, soprattutto quando si lavora con le nuove tecnologie. Anche nella mia quotidianità affianco all’insegnamento in Accademia la professione, con questi due ambiti che si tengono molto bene l’uno con l’altro e mi permettono di evolvermi costantemente, anche grazie al confronto con i nostri studenti, soprattutto per quel che riguarda l’apertura verso le nuove tecnologie e il web. Anche nel lavoro di art director che svolgo da trent’anni e che oggi mi vede impegnata con entusiasmo nella casa editrice art’em, l’innovazione tecnologica è sempre più presente e mi consente di rinnovarmi ogni giorno, sempre con la massima libertà di azione e sperimentazione”.
Per quel che riguarda il dopo-pandemia, invece, come verrà gestito in Accademia?
“Il nostro progetto, virus permettendo, è di tornare in presenza quanto prima. Col nuovo direttore Renato Lori, ogni scuola sta predisponendo un piano di rientro a step progressivi, nel quale ovviamente conterà molto il successo della campagna vaccinale in corso. Una volta rientrati in presenza, però, credo che dovremo comunque tener conto di quanto accaduto in questo anno e arricchire il nostro bagaglio col meglio delle esperienze fatte con la didattica a distanza. Anzi, poi dovranno essere le strutture dell’Accademia ad adeguarsi a questo passaggio tecnologico e far sì che si possa insegnare e sperimentare anche in aula con la stessa efficacia con la quale lo abbiamo fatto in Dad. Insomma, tutti assieme dovremo progettare un nuovo inizio facendo tesoro di ciò che è successo da marzo dello scorso anno”.
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