Diego Armando Maradona oggi compie 60 anni. Chi lo avrebbe mai detto? Mi si perdoni l’incipit provocatorio, autorizzato però dall’irriducibile spirito autodistruttivo col quale il D10S del fútbol mondiale ha vissuto questi suoi primi sei decenni che valgono almeno tre-quattro vite normali, tanto piena, eccessiva, debordante, fantasmagorica – nel bene e nel male – è stata finora la sua esistenza (qui il bellissimo video di oltre mezz’ora con gli auguri dei big del calcio e dello sport mondiale). Maradona è sempre stato molto più di un calciatore, un personaggio bigger than life come pochi altri nella storia dello sport mondiale: campione straordinario ma anche leader populista autoproclamato, idolo globale ipermediatico e simbolo vivente del riscatto dalla povertà, persona contraddittoria dall’ego smisurato ma anche talento unico e inimitabile della storia del calcio, santo ed eroe e al tempo stesso dannato e ribelle, un uomo capace di trasformarsi ancora in vita in icòna pop e di trascedere quasi, in tal modo, la sua stessa umanità per diventare qualcos’altro (come si sa, in Argentina, in suo nome è stato fondato persino un culto religioso: la Iglesia maradoniana, che nel momento della sua massima diffusione è arrivata a contare oltre centomila fedeli). Mi si perdonino in anticipo i toni probabilmente enfatici, ma scriverei nello stesso modo, forse, se dovessi farlo per Muhammad Ali, magari anche Michael Jordan e Roger Federer, ma poi per nessun altro più. Rispetto a loro, però, Diego ha incarnato il concetto stesso di genio e sregolatezza, di maledettismo epico, come l’ultimo punk rocker possibile in questo mondo ormai morto dentro e dominato da una voglia di apparire spesso vuota e fine a se stessa.
Suo malgrado, Maradona non può essere né sarà mai un uomo comune. Volendo tacere sull’esser stato, infatti, il più grande calciatore della storia del gioco (nonostante se stesso), volendo tacere sulle gioie immense e sui momenti indimenticabili che ha saputo regalare ad almeno due generazioni di appassionati di tutto il mondo, volendo tacere sui tentativi per fortuna andati a male di autodistruggersi con la droga e con gli eccessi, fino a risorgere ogni volta come la Fenice dei miti, non può essere un uomo comune chi s’accompagna quotidianamente con i principali capi di Stato del Sudamerica e si propone negli anni alla guida dei movimenti anti-globalizzazione e a favore dei diseredati. Così, come non può esserlo colui al quale – ancora vivente – sono stati dedicati film (dall’omonimo documentario di un maestro del cinema mondiale come Emir Kusturica a La mano de Dios di Marco Risi, da Amando Maradona di Javier Vázquez al recente Diego Maradona di Asif Kapadia e tanti altri, senza parlare della traccia rossa che attraversa buona parte della filmografia del premio Oscar napoletano Paolo Sorrentino e che, probabilmente, sarà resa ancora più evidente nel prossimo È stata la mano di Dio, attualmente in lavorazione), canzoni (basti pensare soltanto a Santa Maradona e La vida tombola di Manu Chao), libri (imperdibile l’autobiografia Io sono el Diego), fumetti (anche italiani, come il poetico Diego Armando Maradona di Paolo Castaldi), simposi universitari (il celebre Te Diegum nella sua Napoli), ma anche monumenti e stadi (quello nuovo della sua prima squadra, l’Argentinos Juniors, nel quartiere La Paternal di Buenos Aires), fino a trasformarlo – come scritto all’inizio – in inimitabile icòna pop della seconda metà del Novecento.