La partita è complicata, l’avversario è senza scrupoli e sembra tutto finito. La guardia tiratrice, o shooting guard per i tifosi a stelle e strisce, sale in cattedra con i suoi quasi due metri. Dribbling, velocità e una capacità atletica fuori dal comune: vola altissimo e schiaccia il punto più significativo della sua carriera, la partita non è ancora persa. Il volo è di Michael Jordan, forse il più grande cestista di sempre. Il canestro è l’uguaglianza sociale, il pallone è una donazione da capogiro. “Air Jordan” – o “His Airness”, visto che di soprannomi c’è l’imbarazzo della scelta – ha donato la cifra di cento milioni di dollari per combattere il razzismo. I soldi, destinati a varie organizzazioni americane, verranno elargiti in un periodo di dieci anni e serviranno a coloro che si impegnano “a garantire la parità razziale, la giustizia sociale e maggiore accessibilità all’educazione”.
È di nuovo sceso in campo MJ, dunque, per un match che troppo spesso ha visto l’onestà e l’uguaglianza dei diritti venire sconfitti clamorosamente, con l’episodio di George Floyd, e le sue conseguenze, a guadagnare l’attenzione mondiale. Attraverso un comunicato diffuso tramite il suo brand, Michael Jordan ha voluto spiegare il perché della donazione. “Il brand Jordan è una famiglia, una famiglia orgogliosa di aver superato ostacoli, combattuto la discriminazione e che lavora ogni giorno per cancellare ogni singola traccia di razzismo e dei danni dell’ingiustizia”. Il messaggio accorato di Jordan e del suo brand continua, poi, facendo riferimento al razzismo ormai radicato nella società che, fin quando non sarà completamente estirpato, costituirà sempre un motivo per l’impegno e la protezione di persone di colore e delle loro condizioni di vita.
Torna a far parlare di sé l’ex star della Nba, stavolta per motivi che lui – come tantissime altre persone – avrebbe certo preferito evitare. Nelle ultime settimane, il campione originario del North Carolina è tornato di particolare attualità per l’incredibile successo globale della serie-evento targata Netflix The Last Dance, che ripercorre l’epopea dei suoi Chicago Bulls, dominatori della Nba durante gli anni Novanta. Le scene raccontate non cadono nella retorica stucchevole, nel buonismo o nell’apologia, anche quando si tratta di presentare Jordan in una veste egoistica e fin troppo concentrata sullo sport, in qualche modo smentita dal suo gesto di queste ore.
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