Il tradizionale Dolby Theatre nel cuore di Hollywood, la suggestiva Union Station di Los Angeles e le altre location oltreoceano in Francia e Regno Unito sono i nuovi palcoscenici che hanno ospitato la notte degli Oscar, un evento quest’anno più in sordina, ma non per questo meno brillante nelle sue stelle. A trionfare è Nomadland che porta a casa i riconoscimenti come miglior film, miglior regia (Chloé Zhao) e miglior attrice protagonista (Frances McDormand). Il lungometraggio, che si sviluppa come un’intensa riflessione sul nomadismo e sul senso più profondo del vagare contro le convinzioni legate alla stabilità, è un manifesto del nuovo cinema d’autore che si rifiuta di scendere a patti con la spettacolarizzazione e rimane concentrato sull’attualità, invitando alla meditazione spirituale sulla nuova condizione esistenziale di smarrimento e sradicamento che tutti, oggi, stiamo vivendo. La regista cinese Chloé Zhao è la seconda donna e prima asiatica nella storia a portare a casa la statuetta per la miglior regia. Frances McDormand fa tris dopo i precedenti riconoscimenti del 1997 con Fargo e del 2018 con Tre manifesti a Ebbing Missouri con un’altra straordinaria interpretazione che rende merito all’emozionalità e al carisma di una signora del cinema, ancora una volta capace di dominare da sola la scena.
Il premio come miglior attore protagonista va a Anthony Hopkins che, a quasi trent’anni dal suo primo riconoscimento agli Oscar, replica il successo sui binari della teatralità con una magistrale interpretazione in The Father (che porta a casa anche il riconoscimento come miglior sceneggiatura non originale a Christopher Hampton e Florian Zeller). I premi come miglior attore e attrice non protagonista vanno rispettivamente a Daniel Kaluuya (Judas and The Black Messiah) e alla coreana Youn Yuh-jung (Minari). Il riconoscimento come miglior sceneggiatura originale va a Emerald Fennell per il palpitante Una donna promettente, mentre nella sezione dedicata ai film stranieri vince Un altro giro del danese Thomas Vinterberg.
L’Oscar per il miglior montaggio va a Mikkel E. G. Nielsen, mentre quelli per il miglior sonoro vanno a Nicolas Becker, Jaime Baksht, Michelle Couttolenc, Carlos Cortés e Phillip Bladh, tutti autori di Sound of Metal, film premiato soprattutto per la grande capacità di rendere in immagini cinematografiche i dialoghi, i silenzi e gli sguardi della comunicazione tra non udenti e normodotati. Il grande deluso della serata è senza dubbio Mank. Partito con ben dieci candidature il biopic su Hermann Mankiewicz riesce comunque a portare a casa due statuette per la miglior scenografia a Donald Graham Burt e Jan Pascale e miglior fotografia a Erik Messerschmid, grazie soprattutto ad un immaginario suggestivo e amarcord messo in luce dalla pellicola in bianco e nero. L’Italia questa volta non c’è. Io si/Seen di Laura Pausini (che si è esibita, accompagnata al piano da Dianne Warren, nel preshow dalla terrazza dell’Academy Museum of Motion Picture) è stata battuta da Fight For You di H.E.R. per Judas and the Black Messiah, un inno alla rivoluzione e alla lotta per i diritti civili che, strizzando un occhio alla contemporaneità, si aggiudica la statuetta per la miglior canzone. Di seguito gli altri riconoscimenti.
Miglior trucco: Sergio Lopez-River, Mia Neal e Jamika Wilson per Ma Rainey’s Black Bottom
Migliori costumi: Ann Roth per Ma Rainey’s Black Bottom.Miglior film d’animazione: Soul di Pete Docter e Kemp Powers.
Miglior documentario: Il mio amico in fondo al mare di James Reed e Pippa Ehrlich.
Migliori effetti speciali: Andrew Jackson, David Lee, Andrew Lockley, Scott Fisher per Tenet.Miglior colonna sonora: Trent Reznor e Atticus Ross con Jon Batiste per Soul.
Miglior canzone: Fight for you per Judas and the Black Messiah.
Miglior cortometraggio: Two distant strangers.
Miglior corto documentario: Colette.
Miglior corto d’animazione: Se succede qualcosa, vi voglio bene.

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