Ieri sera, poco dopo le 21,30, qualcuno ha chiamato i Carabinieri, avvisandoli dell’accaduto. “Correte qui, hanno ricominciato a sparare”. Sarebbero state queste le parole udite dall’operatore della centrale operativa in merito alla sparatoria nel Parco Verde di Caivano dove sono stati esplosi numerosi colpi in viale Tulipano, traversa cieca su cui affacciano una serie di enormi edifici popolari. Sul posto sono subito intervenuti i carabinieri della Compagnia di Casoria e quelli del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna per i rilievi e l’avvio delle indagini.
In totale i militari hanno rinvenuto 26 bossoli, con tutta probabilità esplosi da più di un’arma. Ciò vuol dire che per il raid al Parco Verde non sono state utilizzate soltanto pistole, ma probabilmente anche dei fucili, addirittura potrebbe trattarsi di mitra o Kalashnikov. Al momento per fortuna non risultano esserci feriti. I colpi sarebbero stati quindi esplosi verso l’alto, con la dinamica che ricorda quella della classica “stesa”, un gesto eclatante e dimostrativo usato dai clan criminali nel tentativo di dimostrare la propria potenza. Si sta cercando di capire se nell’area vivano dei pregiudicati ai quali l’intimidazione potrebbe essere stata destinata come messaggio. Nella zona il clan imperante è quello dei Sautto-Ciccarelli, al quale è stato inferto un duro colpo nello scorso maggio, con capi e gregari finiti in manette al termine di indagini che avevano portato alla luce come quell’area fosse sotto l’egida ed il controllo del gruppo di criminali, che provvedevano al sostentamento economico delle famiglie dei detenuti oltre che ad opere sociali quali ad esempio la pulizia delle strade al posto del Comune. Un vero e proprio sostituto dello Stato, capace però di gesti davvero efferati. Dai racconti dei pentiti emergono scenari inquietanti, come quello citato in un interrogatorio da un collaboratore di giustizia secondo il quale su uno degli affiliati al clan Sautto pendeva una condanna a morte per uno sgarro: uno schiaffo dato alla persona sbagliata. I capi avevano deciso di ammazzarlo e sciogliere il suo corpo nell’acido, la vasca era già pronta. L’episodio portò alla decisione di uno degli affiliati di abbandonare il clan e di diventare collaboratore di giustizia nonostante fosse libero. La serie tv “Gomorra” sembra dunque non aver inventato nulla ma essere solo una pallida imitazione di ciò che accade nella realtà, con spacciatori capaci di intascare anche 130mila euro al mese dal traffico di droga.