Filmare il reale implica sempre un confine di attesa. Scegliere di attraversare con la macchina da presa una vita o uno spazio comporta quasi necessariamente il dovere di soffermarsi su quella vita o su quello spazio per prestarvi il giusto occhio e orecchio. Non è un caso, allora, se Giovanni Sorrentino, napoletano classe 1985, sceglie di mettere in scena il luogo (o il non-luogo, per dirla con Marc Augé) che più di ogni altro porta con sé il senso topico di sospensione: la stazione ferroviaria. E se poi la ferrovia in questione prende il nome di Circumvesuviana, strada ferrata che collega Napoli a tutta l’area metropolitana vesuviana e secondo i rapporti di Legambiente è la ferrovia peggiore d’Italia, ecco che viene fuori ‘Na cosa sola, cortometraggio presentato oggi in concorso al Torino Film Festival (in streaming su MyMovies e disponibile online per 48 ore) durante la seconda giornata dedicata alla sezione Italiana.Corti.
Sorrentino, già vincitore nel 2015 per il miglior documentario al Napoli Film Festival con Stay, con il suo nuovo lavoro a produzione indipendente si muove tra i binari e i marciapiedi delle stazioni a lui care raccogliendo, dentro le attese dei treni, stralci di vite di passeggeri in transito sospeso. Tra corse cancellate, ritardi atavici e banchine deserte dove l’erba si infiltra nel cemento, i vagoni dei treni restano, per quasi tutta l’interezza del film, presenze fantasmatiche, spettri assenti. Come sono spettri i volti che il protagonista silenzioso del corto, il casellante Enzo Romano, riconosce nei propri home movies proiettati sul computer del suo alloggio ferroviario. A farsi, invece, strada nella narrazione (scortata dalle musiche originali del producer Luigi Castiello) sono gli individui, donne, uomini e bambini, che dentro i tempi morti delle fermate sperimentano una forma particolare di abitazione dello spazio. Ogni stazione, infatti, diventa abito dei passeggeri, correlativo oggettivo dei loro profili, e i corpi in attesa si fondono nel volto del paesaggio diventando una cosa sola. Una filigrana estetica, quella di Sorrentino, ex-allievo dell’Atelier di Cinema del Reale FILMaP di Ponticelli, che lascia intravedere tanto Pietro Marcello (ringraziato anche nei titoli di coda) e tanto cinema della nuova onda documentaristica italiana (non a caso i tutor di scrittura del corto sono il regista Michelangelo Frammartino e la produttrice-autrice Raffaella Milazzo).