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Home Rubriche Le sprezzature di Dionisio

Un moderno Benino

Nicola Zingaretti si dimette dalla segreteria del Pd, nel tentativo di dare uno scossone al partito. Il regista Sandro Dionisio ci espone il suo punto di vista con il consueto stile lisergico e ironico

Sandro Dionisio di Sandro Dionisio
7 Marzo 2021
in Le sprezzature di Dionisio

Bisogna dire che stupisce la competenza etimologica sfoggiata da politici che noi usiamo rappresentare come stanchi usurpatori di poltrone o esperti di biechi giochi di potere. Il Paese è sull’orlo del baratro: più della metà delle regioni si avvicinano a grandi falcate alla zona rossa, la campagna vaccinale non decolla, sul mercato nero internazionale si paga per una dose di vaccino quanto il cavaliere pagava per le sue cene eleganti, le aziende chiudono e i teatri non hanno mai riaperto, il virus batte incessantemente contro le nostre consuetudini e le nostre più elementari pulsioni esistenziali. Ma ecco che un colpo di scena illumina improvvisamente questo panorama grigio se non funereo: Le jeux son faits! Il gatto sta fermo e si lecca i baffi e il senso delle cose risplende bello, appassionante, enigmaticamente seducente.  

Una ditta farmaceutica rende gratuito un vaccino che debella per sempre il Covid-19, vi chiedete? Il druido Panoramix dalle strisce, quelle sì magiche, di Goscinny e Uderzo, ci invia una pozione magica di vita e potenza eterna? Gli Iron Maiden tornano in tour? Il Burundi ha messo sotto contratto esclusivo Fiorello e Amadeus per i prossimi cinquant’anni? Michael Jackson resuscita e sussurra alle nostre menti stanche un nuovo eterno rhythm and blues? Fuochino! Il segretario del più grosso e grasso partito della sinistra italiana si dimette con un comunicato (non scarno, ma denso, che ricchezza, dai!) che è più di una dichiarazione programmatica di intenti, un’analisi accurata fino alla radice etimologica di uno stato dell’arte. Ne riportiamo qui la dichiarazione: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd da venti giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid-19. C’è il problema del lavoro, degli investimenti”, e via argomentando.

Sarà utile ricordare con quale prezioso senso del rito il segretario, cioè l’ex segretario, il forse prossimo… vabbè lui! Ci siamo capiti. Dicevamo, sarà utile ricordare come costui scelga la tempistica di questa sua iniziativa: difatti, non omette di ricordare come proprio due anni fa esatti fosse stato eletto alle primarie con il 66%, un milione di voti. Era il 3 marzo. E così continua, gasato, senza scorgere la merda fumante appena pestata, per dirla coi cugini francesi. Poi, con sorprendente consapevolezza, passa al plurale: “Abbiamo salvato il Pd e ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, sulle nostre idee. Non è bastato…”, omette, il fine intellettuale, di ricordare che nel frattempo si è alleato con la forza politica che più di ogni altra ha snobbato e accusato il suo partito, per esempio, di vendere i bambini a Bibbiano per abusarne con l’elettroshock o di altre nefandezze e inciuci, vabbè. E, infine, si è alleato con i nemici teorici e storici di sempre… vabbè, ma l’Italia tene bisogno e ccà nisciuno è fesso! Dettagli, diciamolo pure! Ma torniamo alla lingua del segretario che, come è noto batte dove il dente duole. C’è una parola chiave, al di là del fluviale flusso di coscienza certo memore della lezione joyciana, che emerge: vergogna.

Vediamone brevemente l’etimologia: vergogna deriva dal latino verecundia, da vereri che vuol dire riverire, aver rispetto. La vergogna, davanti ai propri modelli, è il sentire il fallimento, l’errore, l’inadeguatezza rispetto al proprio ruolo. È molto più dell’imbarazzo sociale e, alla fine, quasi ridanciano. La vergogna tocca corde profonde, identitarie. E qui il segretario, cioè l’ex, forse il prossimo, vedremo… vabbè lui! Dimostra una sensibilità linguistico-letteraria degna di De Mauro e della scuola di italianisti che ha reso celebre i nostri studi nel mondo.

I valori identitari non si impongono: quello lo facevano i fascisti. E anche se ci pare che qualcuno che dovrebbe vergognarsi di qualcosa non lo faccia, Giorgia e Matteo, fate i vaghi, per favore! Anche se ci pare inammissibile… moderazione, please. Le parole sono pietre, diceva Carlo Levi. Torniamo alla dignitosissima uscita di scena dell’ex segretario del grosso grasso partito. Prova vergogna il finissimo intellettuale, prova rispetto, cioè, per un contesto carognesco che lo pugnala a ogni piè sospinto. Visto che lo si attacca dice che, per il bene sommo del partito che ama e della patria, si dimette, urca che scossone, che consapevolezza, che dignità!

Ora però io mi chiedo che tipo sia questo Zingaretti che non si accorge, per ben due anni, delle manovre subdole e speciose che minano la sua illuminata direzione. Comprendo che gli studi specialistici di linguistica e romanistica abbiano assorbito completamente la sua mente ancora giovane e desiderosa di sapere, mentre a Botteghe oscure il fantasma di Gramsci si denudava in un estemporaneo sit-in di pacifica protesta. Mi chiedo, però, il reale motivo per cui abbia consentito a un ex segretario del suo stesso partito (depositario di un valore elettorale degno di una dose omeopatica) di far cadere un governo di cui era protagonista e promotore soddisfatto e compiaciuto.

Come di un condottiero troiano, di lui si può dire: vince il Covid-19, salva il partito, lo spinge al rinnovamento, impone il fratello calvo come attore nazional popolare, conosce. a fondo l’etimologia delle parole che usa, ma crede che nel Pd si parli di poltrone da 20 giorni. Beata innocenza! E, infine, che fa il cuor di leone? Si dimette! Forse il segretario del grosso grasso partito, come il pastore Benino del presepe napoletano, è talmente stanco da cadere addormentato proprio nel momento dell’avvento miracoloso o, come altre scuole di pensiero suggeriscono, dorme sognando il presepio che lo contiene. Ad ogni modo, a pensarci bene non c’è niente da ridere. Come lui suggerisce, anche io provo vergogna. E mi taccio!

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Tags: Sandro Dionisio
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