Mentre negli States continuano le rivolte, i raggruppamenti di protesta e le dimostrazioni di solidarietà, a Napoli si reagisce in modo differente. La storia che ormai tutti conoscono è quella di George Floyd, afroamericano soffocato dall’abuso di potere – sotto forma di un ginocchio in divisa – perpetrato da un agente di polizia bianco. Jorit, street artist napoletano che da sempre impreziosisce e dona nuova vita al freddo cemento partenopeo, ha appena dedicato un nuovo murale proprio a George Floyd. Sul tetto di un palazzo privato di Barra, nella periferia orientale di Napoli, si può quindi ammirare l’immagine realizzata per commemorare proprio Floyd e, al tempo stesso, per mandare un messaggio a tutti coloro che si rivedono in lui, soffocati a loro volta da un immaginario ginocchio che li costringe a chiedere aria per colpe inesistenti. Accanto a quello di George, infatti, sono stati effigiati anche i visi di Lenin, Martin Luther King, Malcolm X e Angela Davis, come se Jorit avesse voluto creare una sua particolare interpretazione del Monte Rushmore con persone capaci di contribuire al cambiamento sociale nel mondo intero.
George Floyd al centro, come baluardo di una lotta al razzismo iniziata in tempi non sospetti dagli altri protagonisti: Martin Luther King, Malcolm X e Angela Davis. Lenin, invece, rivoluzionario e politico russo, rappresenta l’anticapitalismo. Floyd è stato ucciso a sangue freddo, è stato privato del respiro nonostante avesse passato gli ultimi dieci minuti della sua vita a chiedere aiuto e a implorare l’agente sopra di lui di lasciarlo respirare, di lasciarlo andare. Di George Floyd ce n’è uno solo, ma allo stesso tempo di George Floyd ce ne sono a centinaia di migliaia, a milioni, forse di più: hanno tutti una pigmentazione cutanea differente, provengono da tutto il mondo ma soffrono le stesse atrocità. Ciò che è successo a Minneapolis è diventato lo spunto per rivolte e manifestazioni – da condannare quando degenerano in violenza – attraverso le quali invocare una serie di diritti che oggi, nel 2020, dovrebbero essere assodati e parte integrante della vita di ognuno.
“Time to change the world” scrive Jorit alla base del murale. È tempo di cambiare il mondo, è tempo di eliminare le differenze sociali. I personaggi raffigurati lo hanno fatto, direttamente o meno, e continuano a farlo tuttora, anche se non fisicamente presenti. Il post condiviso dallo street artist napoletano è corredato da una lunga e sentita didascalia, divisa tra le ultime parole di Floyd e i pensieri a riguardo. “Le sue tragiche parole in punto di morte sono diventate il testamento politico di decine di migliaia di persone scese in piazza negli Stati Uniti contro l’ennesimo omicidio impunito di un sistema feroce e spietato contro i più deboli”. È tempo di cambiare il mondo, o forse il mondo è già cambiato: anche se è molto triste che la scintilla di tutto ciò abbia addosso i segni di un ginocchio pressato con troppa violenza sul collo di una persona.
Le storie di Jorit, assieme a quelle di altre due figure-cardine dell’arte contemporanea italiana più giovane e vitale, Jago e Virginia Zanetti, sono state raccontate di recente dal filmaker napoletano Luigi Pingitore. Il suo documentario, dal titolo MillenniArts, è un appassionante viaggio audiovisivo andato in onda a maggio su Rai 5 all’interno del programma Art Night e ancora presente su Raiplay, per poter essere visto e rivisto in qualsiasi momento. Prodotto dalla factory di Pingitore, Tipot, tutta campana con sedi tra Napoli e Battipaglia, il documentario è stato pensato per essere un fiume di suoni, immagini e parole che scorrono senza sosta. Il senso alla base dell’opera è la creazione artistica nel mondo odierno, costantemente on-line e connesso, super-tecnologico e automatizzato. Più che dare risposte, però, l’intento dell’autore è di suscitare nuovi dubbi e domande, a partire dalle creazioni di questi tre “millenniarts”.
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