Il 23 novembre 1980, alle ore 19.34, la terra tremò tra l’Irpinia e la Basilicata, toccando anche la Puglia. Lo fece ricordando a tutti quanto gli esseri umani possano essere inermi davanti alla forza dirompente della natura. 2.570 morti (alcune fonti parlano di 2.914), 8.848 feriti e 300mila senzatetto, sono i numeri che si sommarono in quell’anno terribile alle macerie, alle case polverizzate e a intere città rase al suolo. Il sisma, di magnitudo 6.9 della scala Richter, spazzò via paesi in prossimità dell’epicentro, come Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Conza della Campania, Castelnuovo di Conza, Santomenna, Laviano e Muro Lucano e si fece sentire anche a distanza di chilometri: a Napoli, nel quartiere di Poggioreale in via Stadera, crollò un palazzo causando 52 morti; e a Balvano, nel Potentino, il crollo della chiesa di Santa Maria Assunta causò la distruzione di un’intera generazione del paese, con 77 persone morte, di cui 66 tra bambini e adolescenti che stavano partecipando alla messa.
Quando si parla del terremoto in Irpinia, però, sono due le prime cose che si fanno spazio, con forza, nella mente: il ritardo dei soccorsi, indice di uno Stato impreparato e impotente davanti a tale catastrofe, e il conseguente impegno dei semplici cittadini e volontari che, con le loro sole forze, avevano cercato di riempire un vuoto incolmabile. Pesarono come macigni le parole dell’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che, parlando a reti unificate a tutti gli italiani, a distanza di pochi giorni dall’accaduto, raccontò di ciò che aveva visto coi propri occhi: “Ho assistito – disse – a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari”.

Nonostante l’approvazione della legge 219 per la ricostruzione di case e interi quartieri, oltre a incentivare lo sviluppo industriale, solo pochissime aziende del territorio sono ancora oggi in attività, mentre la maggior parte delle imprese sono state dichiarate fallite, sebbene avessero percepito i contributi pubblici. E tra paesi ricostruiti, ritardi, inchieste, buchi amministrativi in cui s’è infilata anche la criminalità organizzata, è nata, quasi come se fosse una fenice, l’Università della Basilicata, come piccolo baluardo per arginare la forte emigrazione giovanile e come medicina per cercare di sanare una ferita che continua ancora, a quarant’anni dall’accaduto, a bruciare. “Nella ricorrenza del più catastrofico evento della storia repubblicana – ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – desidero anzitutto ricordare le vittime, e con esse il dolore inestinguibile dei familiari, ai quali esprimo i miei sentimenti di vicinanza. Anche il senso di comunità che consentì allora di reagire, di affrontare la drammatica emergenza, e quindi di riedificare borghi, paesi, centri abitati, e con essi le reti di comunicazione, le attività produttive, i servizi, le scuole, appartiene alla nostra memoria civile. Profonda è stata la ferita alle popolazioni e ai territori. Immensa la volontà e la forza per ripartire“.
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