Tante emozioni e grande interesse da parte dei giovani giurati della cinquantesima edizione del Giffoni Film Festival, per la presenza in sala Truffaut, nella Cittadella del cinema, del medico napoletano Paolo Ascierto, uno tra i simboli viventi della lotta contro il Coronavirus, per una masterclass molto attesa. “Non avrei mai immaginato di trovarmi al centro di questa vicenda così difficile. Di mestiere faccio il medico e il medico in genere cerca soluzioni. Se in un determinato momento e se in alcune circostanze si può essere utili e si ottengono risultati, allora si è soddisfatti del proprio lavoro”. E la soluzione perAscierto, oncologo e ricercatore dell’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli, si chiama Tocilizumab, un farmaco in sperimentazione utilizzato per il contrasto al Covid-19 e che, nel momento più difficile della pandemia, ha rappresentato una speranza concreta di guarigione. Ascierto è presto diventato, perciò, uno tra gli uomini-simbolo dell’emergenza, oltre che un riferimento per un modello di sperimentazione che ha dato risultati importanti. Al festival giffonese è stato anche insignito dal direttore Claudio Gubitosi e dal presidente dell’Ente Autonomo Giffoni, Pietro Rinaldi, del premio Giffoni50: “Un riconoscimento – ha detto Gubitosi – che diamo a persone per bene che fanno del bene. Noi, dottore Ascierto, ci fidiamo di lei e ci affidiamo a lei. Esempi come il suo aiutano a rendere la società più umana. Proprio come Giffoni vuole fare“.
In apertura di incontro è stato presentato un estratto deldocumentario1 + 1 = 3 del regista casertano Romano Montesarchio, da un’idea del produttore Gaetano Di Vaio che lo ha prodotto per Bronx Film. Si tratta di un lavoro ancora in via di realizzazione ma che già nel promo visto al festival ha saputo mostrare la sua potenza evocativa. 1 + 1 = 3 è uno slogan del Pascale e indica come il risultato spesso possa essere maggiore della somma dei componenti. Proprio come è stato per la sperimentazione del Tocilizumab, i cui risultati sono stati più importanti di quanto si potesse immaginare: “In quel momento – ha raccontato Ascierto ai giovani giffoners – avevo una collaboratrice a Pittsburgh per una ricerca. È da questo incrocio con altri colleghi che abbiamo iniziato a convincerci che alcuni farmaci potevano essere utilizzati con un risultato. È stata la molla dalla quale siamo partiti. Allora, il nostro direttore generale ci ha dato la possibilità di continuare. Perché se poi le idee non te le fanno mettere in pratica, restano tali”. Le idee hanno bisogno del confronto per ottenere risultati: “Quando abbiamo pensato all’utilizzo del farmaco – ha continuato l’oncologo – ci siamo confrontati con i cinesi. Li abbiamo scelti perché avevano più esperienza di noi e perché noi collaboriamo con diverse realtà cinesi. Ecco, anche a Giffoni c’è questo scambio culturale. Perché è dal confronto che le idee si migliorano. I cinesi ci hanno detto che anche loro stavano utilizzando lo stesso trattamento e con buoni risultati. La verifica con loro ci ha dato la spinta ulteriore. L’azienda farmaceutica produttrice ha fatto il resto, perché ha messo a disposizione gratuitamente quattromila trattamenti. Non una cosa da poco”. L’emergenza Covid-19 è stata una grande vicenda corale e umana. Ascierto non fa mistero delle emozioni provate in quei giorni così difficili: “Gli studi che abbiamo fatto ci dicono che il Tocilizumab funziona di più sui pazienti non intubati. Abbiamo dovuto decidere a chi somministrarlo. Ci è successo di avere un numero esiguo di fiale. Abbiamo trattato un ragazzo del 1993 per esempio e abbiamo avuto buoni risultati. Non è vero che il Covid-19 colpisce solo gli anziani. In una fase, abbiamo avuto pazienti ricoverati tutti nati tra il 1955 e il 1966, tutti in terapia intensiva e tutti affetti da ipertensione. Abbiamo capito che è un virus che non guarda in faccia a nessuno. Oggi colpisce molto di più i giovani e l’età media dei contagi attuali è di circa trent’anni”.
I giovani sono il cuore pulsante di Giffoni, ma anche una categoria fondamentale per la ricerca di Ascierto: “Sono felice, grato e onorato – ha aggiunto – di essere qui. Giffoni lo conoscevo molto bene. Ho un’equipe di giovani, li ho formati. Siamo circa trenta persone e quotidianamente facciamo ricerca. Mi confronto con loro ogni giorno. I giovani ti danno soddisfazione e vanno avanti con determinazione. Abbiamo pubblicato oltre trecento lavori internazionali e questo è il frutto del lavoro fatto assieme ai miei ragazzi. A voi di Giffoni sento di dire che quando c’è passione e determinazione, i risultati arriveranno”. Oggi la paura è legata al Covid-19: “Dopo il lockdown – ha precisato l’oncologo – abbiamo avuto tre aperture: 4 maggio, 18 maggio e 3 giugno. Tutto sommato abbiamo capito che ce la potevamo fare, con la mascherina e col distanziamento. Abbiamo compreso che potevamo convivere con il virus, con qualche semplice regola. Anche Giffoni ha fatto qualche sacrificio, ma ce l’ha fatta, non si è fermato e ora è in pieno svolgimento, interessante e formativo come sempre”.
“Questo mio ritratto – commenta ancora Paolo Ascierto, stavolta riferendosi al documentario – rappresenta un viaggio sorprendente nella mia stessa esistenza. Mi fa sentire frastornato ma allo stesso tempo sono sicurissimo che illuminerà quanto di buono e intenso abbia fatto la comunità scientifica in questi terribili mesi della pandemia da Covid-19. Niente è finito. Tutti siamo ancora super concentrati. Ci tengo a ribadire che il docufilm di Montesarchio non esalterà nessun primato di questo presidio ospedaliero su quello. Il racconto porta a galla quanto lavoro, entusiasmo e volontà abbiamo investito da marzo in qua, e quanto ancora faremo, per salvare vite umane. Vite famose e vite cosiddette marginali. Per noi sono tutte uguali. Se la pandemia ci ha insegnato un valore è ancora una volta la costanza con cui bisogna vivere il nostro mestiere. Inseguendo idee. Specialmente quando ti trovi davanti giovanissimi spaventati e leggi nei loro occhi e in quelli dei genitori, delle mogli, dei figli la paura di morire in un istante. Per di più in solitudine. Questi eventi ti insegnano profondamente. Io mi considero un medico come ieri. Un oncologo in prima linea nella ricerca contro il melanoma. Ho affrontato la narrazione e il viaggio scientifico nella maniera più sobria senza perdere per strada nessuna emozione. Anche perché accanto ho avuto una compagine produttiva di tutto rispetto. Da un punto di vista umano quanto artistico: da Gaetano Di Vaio di Bronx Film Production, che ebbe l’idea quando venne realizzato il video Noi siamo il Pascale per la campagna contro il Coronavirus, al regista Romano Montesarchio, discreto e meticoloso nella raccolta di informazioni e testimonianze pubblico-private”.
La genesi di tutto, rievoca ancora il professor Ascierto, risale a “una conversazione tra amici. Il mio amico Stefano Ambrosio della direzione scientifica dell’Istituto nazionale tumori Pascale e Di Vaio stavano dialogando proprio nelle ore in cui ebbi l’intuizione di adoperare il Tocilizumab sui pazienti in serie difficoltà respiratorie. Gran parte dei quali era ricoverata nei reparti di terapia intensiva. Quando Stefano e Gaetano chiacchieravano, fu proprio Di Vaio a proporre l’idea di un racconto che scavasse dentro questo improvviso pericolo per il pianeta. E, con loro, anche io ho creduto che fosse il caso di mostrare, a chi non conosce il nostro costante lavoro collettivo, quanto tutto sia precario e indispensabile. La stessa troupe ha fatto rari sacrifici, poiché per girare tante scene ha dovuto rispettare protocolli rigorosissimi, rischiando per la propria salute. Tutto ciò è stato realizzato grazie alla dedizione e accoglienza dei vertici del Pascale. E intendo ringraziare la lungimiranza e l’intelligenza del direttore scientifico Gerardo Botti e del direttore generale Attilio Bianchi. Siamo una squadra nei padiglioni e in laboratorio e siamo stati un team in questa narrazione”.
Da parte sua, il regista Romano Montesarchio aggiunge: “Durante il lockdown, con Gaetano Di Vaio, che è coautore della sceneggiatura del docufilm ci siamo più volte sentiti e confrontati sentendo l’esigenza di dover raccontare un periodo così unico per la storia dell’umanità. Da subito ci aveva rapito la vicenda di questo medico-oncologo partenopeo, Paolo Ascierto, che stava salvando molte vite nel momento più triste e disperante per tanti di noi, costretti solo a subire gli aggiornamenti dai notiziari tv. La sua era una cura nata da tutt’altre esigenze scientifiche. Così grazie alla disponibilità dell’Istituto tumori Pascale di Napoli abbiamo cominciato a raccontare questo medico straordinario, che trasuda una adamantina umanità. E ci dà la possibilità di raccontare dall’interno la pandemia. Le molte storie dei guariti, grazie alla sua intuizione, offrono l’opportunità di illuminare la vita più che la morte”. Infine, conclude Di Vaio, produttore per Bronx Film: “Ho pensato a questo progetto in pieno lockdown, quando tutti eravamo prigionieri nelle nostre case e ci era stato vietato ogni movimento in città, perché ho avvertito un profondo senso di ingiustizia per il modo in cui certi media nazionali stavano maltrattando il lavoro coscienzioso del professor Ascierto. Ho sentito il bisogno di incontrarlo e chiedergli se gli andava di parlare della sua storia. E in Romano Montesarchio, col quale ho realizzato già due docufilm, ho visto la figura ideale per trattare cinematograficamente una storia così particolare”.
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