Per reinvestire imponenti capitali, frutto delle attività illecite, avevano allungato i tentacoli sullo smaltimento degli olii esausti, degli scarti di macellazione e anche sui grandi appalti ferroviari e dell’alta velocità. A sostenerlo sono i carabinieri del Ros e i finanzieri del Gico della Guardia di Finanza di Napoli che, coordinati dalla Procura partenopea, all’alba di oggi hanno notificato, complessivamente, 59 misure cautelari e sequestrato beni per 150 milioni di euro, tra Ferrari e imbarcazioni, immobili e quote societarie.
Le accuse sono di associazione mafiosa, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione e favoreggiamento. L’indagine ha accertato che la cosca dei Moccia è viva e operativa. Tra i destinatari delle misure cautelari i fratelli Antonio, Angelo e Luigi Moccia e un loro cognato, Filippo Iazzetta, tutti detenuti. Due di loro, Angelo e Luigi vivono a Roma da anni e da lì avrebbero inviato ordini agli affiliati nella loro città d’origine, Afragola. Per chi ha condotto le indagini c’era un’ala militare e una imprenditoriale al servizio del clan Moccia.