Camorra, maxi retata dei Carabinieri, Ros e DDA di Napoli: 27 arresti all’alba, colpo al clan Di Lauro
Sono tutti accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, turbativa d'asta, e contrabbando di sigarette. In manette anche Vincenzo Di Lauro e altri membri del clan
Nell’ambito di un’indagine della Dda (sostituti procuratori Giugliano e De Marco) sulle attività imprenditoriali e finanziarie del clan di Secondigliano, stamane all’alba i carabinieri di Napoli, e personale del Ros, hanno tratto in arresto, insieme ad altre 24 persone, Vincenzo Di Lauro, figlio del noto boss Paolo Di Lauro, il cantante neomelodico Tony Colombo e la moglie Tina Rispoli, vedova del defunto boss Gaetano Marino.
L’operazione ha portato anche al sequestro di beni del valore di 8 milioni di euro. Tra i reati contestati vi sono il concorso esterno in associazione mafiosa, la turbativa d’asta e l’aggravante della transnazionalità connessa al contrabbando di sigarette. Il neomelodico Tony Colombo e la moglie Tina Rispoli, secondo gli inquirenti avrebbero fatto affari con il clan camorristico Di Lauro, investendo in società di abbigliamento, creando brand, insieme, come quello denominato “Corleone”. Anche la bevanda energetica “9 mm” (il cu nome richiama al calibro delle pistole), come il marchio d’abbigliamento ammiccante al mondo della criminalità organizzata, sarebbe riconducibile al clan Di Lauro.
Le indagini avrebbero fatto emergere una “svolta” imprenditoriale del clan Di Lauro, che sembra essere avvenuta tra il 2017 e il 2021, mantenendo comunque il rispetto delle tradizionali regole imposte da Paolo Di Lauro, noto come Ciruzzo ‘o milionario, il quale è attualmente detenuto in regime di 41bis e non è coinvolto nell’operazione odierna. Nello specifico, il clan attraverso società fittizie intestate a terzi (ed ora sequestrate a loro volta), gestiva anche una nota palestra, una sala scommesse e alcuni supermercati, oltre al settore del contrabbando di sigarette. Attività che si basava anche sull’importazione di tabacchi dall’Europa Orientale (in particolare Bulgaria ed Ucraina), per poi rivenderli sul territorio italiano. Inoltre, gli investigatori sono riusciti a svelare significativi investimenti nel settore delle aste giudiziarie immobiliari, in cui i membri del clan hanno utilizzato minacce per ostacolare la partecipazione di altri acquirenti, assicurandosi così la vittoria degli immobili all’asta. Questi beni, in seguito, venivano rivenduti per finanziare ulteriori attività illegali.
Questo sito Web utilizza i cookie. Continuando a utilizzare questo sito Web, acconsenti all'utilizzo dei cookie. Visita la nostra Privacy Policy. Accetto