Una bruttissima notizia per la storia e la tradizione partenopea: chiude infatti lo storico Caffè Gambrinus e non a causa dei provvedimenti nazionali e regionali di limitazione delle attività ristorative previsti per contrastare il contagio di Covid-19, bensì in conseguenza della grave crisi economica che sta colpendo l’intero reparto. Da domani, la storica caffetteria fondata nel 1860, tappa obbligata a Napoli per scrittori, intellettuali, artisti e capi di Stato in visita nella città partenopea, sbarrerà definitivamente gli ingressi ai propri clienti. Il quadro della situazione estremamente critica che sta affrontando il locale è ben spiegato da Antonio Sergio, proprietario dello storico caffè sito in piazza Trieste e Trento, porta d’accesso a piazza Plebiscito. Negli ultimi mesi il fatturato dell’attività è crollato di oltre l’80% a causa delle limitazioni agli spostamenti, e in particolar modo in conseguenza della crisi del turismo che si è abbattuta come una scure sulla città. A oggi il Gambrinus dà lavoro a ben quarantacinque dipendenti, quindici dei quali si trovano attualmente in cassa integrazione, mentre non ci sono risorse a sufficienza per pagare gli altri trenta lavoratori rimasti in servizio dalla fine del primo lockdown a oggi. Si tratta di una condizione estremamente critica e ai limiti della gestione dell’esercizio commerciale, che ha spinto la famiglia Sergio a prendere la tanto agognata ma obbligata decisione.
Il Caffè Gambrinus dunque, per la prima volta nella sua storia, chiude i battenti, dopo aver attraversato tre secoli della storia di Napoli e dell’Italia. Già da diverso tempo, infatti, il bar lavorava a scartamento ridotto e con l’orario di chiusura alle 18 si era praticamente azzerata una clientela già ridotta ai minimi termini. Sono lontane infatti le immagini con le code composte da napoletani, da semplici curiosi o da turisti, i quali facevano la fila per gustare il delizioso caffè e i pasticcini prodotti dallo storico locale, oppure per sedersi tra gli eleganti tavolini delle sale arredate e abbellite in stile tardo-ottocentesco. Oggi, all’interno del bar, si respira un clima surreale fatto di silenzio e di paura, con le sale e i tavoli vuoti e i dipendenti che si guardano tra loro increduli e soprattutto intimoriti sul proprio futuro, senza più la certezza di poter lavorare come in passato. Antonio Sergio, nella speranza di poter riaprire al più presto, ha lanciato nei giorni scorsi anche un appello alle istituzioni, affinché l’intera categoria di bar, ristoranti e locali sia sostenuta con provvedimenti economici adeguati.