Una vasta associazione di matrice camorristica, con base a Cattolica, in Emilia Romagna, ma che estendeva le proprie attività in tutta Italia, operando nelle province di Avellino, Napoli, Salerno, Potenza, Matera, Pesaro-Urbino, Forlì-Cesena, Parma, Torino e Milano. È il sodalizio criminale disarticolato, nella giornata di ieri, dall’operazione Darknet, che ha visto coinvolti gli uomini del comando provinciale della guardia di finanza di Rimini, entrati in azione con il supporto del Gico di Bologna e dei colleghi di altri 14 comandi provinciali sparsi in 8 Regioni italiane. In totale, sono stati più di 300 i militari messi in campo sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia, al fine di dare esecuzione a 80 perquisizioni e misure cautelari nei confronti di 9 persone (5 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e un obbligo di dimora) emessi dal Gip del Tribunale di Bologna per i reati di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, corruzione, emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, che vedono a vario titolo coinvolte 55 persone in totale.
Al vertice dell’associazione si trovavano personaggi legati al clan Sarno e al clan dei Casalesi, gruppi egemoni rispettivamente nel quartiere napoletano di Ponticelli e nell’Agro aversano. Proprio partendo dalla città in cui diversi membri della criminalità organizzata campana e i loro familiari erano risultati domiciliati, Cattolica, dal novembre 2017 si è sviluppata la complessa attività d’indagine portata avanti nucleo di polizia economico finanziaria riminese. Nel contempo, le fiamme gialle hanno dato esecuzione anche a un decreto con il quale lo stesso Gip ha ordinato il sequestro preventivo, in 11 province, delle quote sociali e dei beni aziendali di ben 17 imprese ritenute infiltrate dalla criminalità organizzata e fittiziamente intestate a soggetti prestanome, operanti nei settori edilizia, ristorazione, commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, sale gioco, impiantistica, noleggio auto, il tutto per un valore complessivo stimato di 30 milioni di euro, e la confisca, in ordine ai reati di riciclaggio e corruzione, di altri beni e disponibilità per un valore di circa un milione di euro.
Le indagini hanno permesso di far emergere l’esistenza di una compagine criminale stabilmente stanziata nella provincia riminese, al cui interno le posizioni di predominio erano occupate da I.G., pluripregiudicato, sorvegliato speciale e cognato di V.S., capoclan napoletano e oggi collaboratore di giustizia, R.L.S. pluripregiudicato gravato da 4 condanne definitive per reati contro la persona e in materia di armi e genero di Z.E., altro pluripregiudicato gravato da condanne definitive a 25 anni di reclusione complessivi per traffico di stupefacenti. Altra persona di rilievo del gruppo era D.M.A., volto pulito dell’associazione incaricato della gestione delle diverse società operanti nel settore dell’impiantistica industriale.
Accanto a costoro, destinatari di misure di custodia cautelare in carcere, gli inquirenti hanno individuato altri due livelli: il primo è costituito da coloro che “avrebbero posto la propria attività al servizio del sodalizio nella consapevolezza della correlazione funzionale con gli obiettivi dello stesso”, come Z.S. e C.F., anche loro colpiti da una misura di custodia in carcere, e C.P. e G.T., finiti agli arresti domiciliari. Il secondo livello, invece, è formato da tutti quei soggetti, oltre 30, che si sarebbero prestati nell’attività illecita, specie di interposizione fittizia, ma dei quali non vi è certezza della partecipazione al sodalizio criminale, trattandosi di persone reclutate all’occorrenza per ragioni di parentela o vicinanza con i singoli indagati, come nel caso di P.S., incaricata di pubblico servizio agli arresti domiciliari, e S.G., destinatario di obbligo di dimora.
Gli inquirenti hanno inoltre documentato le diverse fasi evolutive della cellula criminale che, in breve tempo, era riuscita a infiltrarsi nell’economia legale dell’area romagnola e delle zone limitrofe, controllando diverse attività economiche in diversificati settori imprenditoriali, come l’edilizia, la ristorazione e l’impiantistica industriale, drenando risorse mediante fatturazioni per operazioni inesistenti tra le società a loro riconducibili. Il gruppo aveva inoltre asservito la funzione di due incaricati di pubblico servizio agli scopi dell’organizzazione criminale, per l’acquisizione illegale di appalti pubblici, per poi reinvestire e auto-riciclare ingenti somme di denaro di provenienza illecita in attività imprenditoriali, immobiliari e finanziarie, intestare a terzi ingenti patrimoni e attività commerciali frutto di attività estorsive e dello spaccio di stupefacenti e affermare, infine, il proprio controllo egemonico sul territorio basso romagnolo e potentino, attraverso la repressione violenta dei contrasti interni.
In particolare, è emerso come G.I. e R.L.S., nonostante un’apparente situazione reddituale insufficiente a soddisfare anche i fabbisogni primari, manifestassero in realtà un’elevata disponibilità economica, che intercettazioni telefoniche e ambientali hanno chiarito derivasse dalla loro partecipazione occulta in numerose società operanti nei più disparati settori economici e formalmente intestate a prestanome, dalle quali gli indagati, con la connivenza del commercialista C.P., drenavano gli utili mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti per centinaia di migliaia di euro e il successivo prelievo in contanti dei pagamenti ricevuti. Inoltre, società di fatto riconducibili ai due pregiudicati erano riuscite ad ottenere, tramite pratiche corruttive e alterando le gare d’appalto, l’esecuzione di lavori pubblici all’interno di una fondazione pubblica interamente controllata dalla Camera di commercio della provincia di Parma. I proventi illeciti così ottenuti venivano riciclati utilizzando una sala giochi e scommesse ubicata a Cattolica, riconducibile sempre agli indagati principali, ma gestita formalmente da tale G.T.: quest’ultima, al fine di riciclare le somme provenienti dai reati in contestazione, aveva in più circostanze simulato vincite al gioco.
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