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Home Italia

Dc-9 Itavia, 40 anni dopo Ustica è ancora un mistero

Le indagini, i depistaggi, gli omissis. Il coinvolgimento di Libia, Usa, Francia e Gran Bretagna. Due cose certe: gli 81 morti e un missile

Pier Paolo De Brasi di Pier Paolo De Brasi
27 Giugno 2020
in Italia
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Dc-9

Castelsilano. Ricordiamoci questo nome. Un comune con poco meno di mille abitanti, all’epoca dei fatti quasi 1.500, nell’altopiano della Sila, ora in provincia di Crotone, apparteneva al territorio di Catanzaro quarant’anni fa. Un piccolo borgo di montagna entrato, suo malgrado, in una delle pagine più oscure del nostro Paese: Ustica. Il 27 giugno 1980 un Dc-9 dell’Itavia, partito da Bologna e diretto a Palermo, si inabissa nelle acque del mar Tirreno. A bordo 81 persone, di cui 12 bambini. Ad oggi nessun colpevole, nessuna certezza sul perché il Dc-9 sia caduto in mare: tanti depistaggi, documenti distrutti e omissis (soprattutto da parte dell’Aeronautica), in pieno stile italico, ma anche francese, americano e inglese. Unico punto certo, oltre alle persone decedute, è la sentenza della Corte di Cassazione del 2013 che obbliga lo Stato a risarcire i parenti delle vittime per “non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli”. Nella stessa sentenza c’è la prima, e sinora unica verità processuale dopo il nulla di fatto delle inchieste penali: “è abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile”.

Torniamo a Castelsilano. Cosa legherebbe Ustica al piccolo comune calabrese, distante oltre 300 chilometri dal luogo dove si è inabissato il Dc-9? È un caccia di fabbricazione sovietica, un Mig-23 dell’aeronautica militare libica precipitato in una zona impervia della Sila, ufficialmente il 18 luglio 1980 e per motivi legati al malore del pilota, così come affermato dal governo del Paese nord-africano allora guidato da Muammar Gheddafi. Sulla data e i motivi dello schianto del caccia libico l’indagine del 1990 del giudice Rosario Priore ha sollevato più di un dubbio, con testimoni oculari che lo hanno visto cadere in un giorno di fine giugno e militari del battaglione ‘Sila’, del battaglione bersaglieri ‘Persano’ e del battaglione fanteria ‘Cosenza’ che hanno confermato di aver effettuato servizi di sorveglianza al Mig-23 non a luglio, bensì dal 28 giugno. Lo stesso Giovanni Spadolini, ministro della Difesa dal 1983 al 1987, ebbe a dire che chi avesse risolto il giallo del Mig avrebbe potuto capire la strage di Ustica. Ma vediamo cosa hanno scoperto i magistrati, arrivati a cinque centimetri dal traguardo della verità.

Primo. La tesi della bomba esplosa a bordo dell’aereo è una bufala o, meglio, un chiaro depistaggio. L’aereo parte da Bologna con due ore di ritardo, su un tragitto verso Palermo che supera di poco i 50 minuti. Già questo fa cadere l’ipotesi un ordigno con detonatore a tempo, inserito nel bagno e che, per un caso al limite del soprannaturale, lascia intatti il copri-water e il lavandino. Anni di lavoro e perizie dei magistrati hanno spazzato via questa sciocchezza.

Secondo. È stato accertato che il Dc-9 fino al punto dell’esplosione aveva uno o due caccia militari nelle sue vicinanze. I caccia furono visti, insieme all’aereo civile, dall’F104S su cui volavano i due ufficiali istruttori Ivo Nutarelli e Mario Naldini, che subito dopo rientrarono alla base di Grosseto, segnalando la grave emergenza. Quasi sicuramente erano caccia libici. Il Dc-9, secondo la magistratura, fu utilizzato come copertura per sfuggire ai radar. Vedere un caccia militare sotto la pancia di un aereo civile non è una cosa normale. Nutarelli e Naldini morirono nel 1986 nell’incidente delle ‘Frecce tricolori’ a Ramstein, in Germania. Non sono gli unici, tra gli ufficiali dell’Aeronautica che non hanno voluto sottostare all’atteggiamento omertoso della maggior parte dei loro colleghi e della politica, a morire in maniera misteriosa in questa vicenda.       

Terzo. La ricostruzione della strage. I caccia che volavano coprendosi con il Dc-9 furono intercettati da due Mirage francesi, partiti con ogni probabilità dalla base in Corsica di Solenzara. A sostenerlo l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, a confermarlo i radar di Poggio Ballone. Non solo. In zona vi era almeno un Phantom americano, come confermato in un’intervista ad Andrea Purgatori da Brian Sandlin, allora giovane marinaio della portaerei Saratoga, destinata dagli Usa al pattugliamento nel Mediterraneo, e visto dai radar di Ciampino. Gli inglesi? Quantomeno hanno visto tutto e taciuto. Nel Tirreno era presente, con molta probabilità, anche una portaerei di Sua Maestà. Sicuramente erano impegnati in un’esercitazione a Decimomannu, in Sardegna, e dagli atti in possesso dei giudici risulta che molti aerei con la bandiera dell’Union Jack volavano nei minuti a ridosso della tragedia. Uno scenario di guerra, una battaglia nei cieli. In mezzo un aereo civile che trasportava 81 persone a bordo e le ultime parole prima dello contatto mortale. “Guarda… cos’è”, è la frase messa in onda da Rainews24, registrata dalla cabina del Dc-9 dell’Itavia, pronunciata dal copilota. Poi il silenzio.

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Tags: BolognaflashUstica
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