Dopo il sequestro dei depuratori dello stabilimento “La Doria” di Angri e nonostante l’intervento del ministro dell’Ambiente Sergio Costa che ha chiesto maggiori controlli da parte dei carabinieri del Noe, continuano gli sversamenti illeciti di liquami nel fiume Sarno, diventato nel giro di due settimane dalla fine del lockdown, con la ripresa delle attività industriali, nuovamente un ricettacolo di rifiuti.
Questa volta, a destare l’allarme dei cittadini e degli attivisti ambientali, è il rio Palazzo, uno degli affluenti del fiume Sarno, le cui acque si sono colorate in questi giorni di colore bluastro, emettendo uno strano odore molto acre e intenso, che ha reso l’aria nei pressi delle sue sponde quasi irrespirabile. Gli ambientalisti che in questi giorni monitorano costantemente l’inquinamento delle acque del fiume campano, hanno raccolto documentazioni e testimonianze, e hanno allertato l’Arpac e i carabinieri del nucleo forestale affinché venga identificata la provenienza degli sversamenti. Ma non si tratta dell’unica segnalazione di sostanze illecite occultate in questi giorni nelle acque degli affluenti del bacino idrografico.
Nell’ambito delle indagini svolte dai carabinieri lungo le sponde del fiume Sarno e dei suoi affluenti, un noto imprenditore di Scafati è stato denunciato e multato di recente per aver scaricato, nelle acque del rio Sguazzatoio, sostanze oleose di derivazione chimica altamente tossiche e nocive per la salute e per l’ambiente. Il titolare dell’impresa scafatese è stato condannato a pagare una sanzione amministrativa pari a 6.750 euro per aver violato il decreto legge sulle norme ambientali. La scoperta è stata compiuta a seguito dei controlli dei carabinieri del Noe, impegnati nell’ultimo periodo a monitorare la presenza di scarichi abusivi che finiscono nel bacino del Sarno. Il rio Sguazzatoio è già da diverso tempo nel mirino degli investigatori. Negli ultimi anni è stato infatti fu più volte oggetto di scarichi e sversamenti che hanno interessato le acque del torrente e gravato sulle coltivazioni di frutta e ortaggi che sorgono sulle sue sponde, rappresentando un rischio immane per le produzioni agricole dell’area e per la salute dell’uomo. Le indagini hanno così appurato che il materiale inquinante era finito dalle acque del torrente direttamente nel fiume Sarno, di cui è affluente, provocando un danno ambientale di vaste proporzioni.
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