Giuseppe D’ambra torna finalmente a casa a Orta di Atella, in provincia di Caserta: nella giornata di sabato verrà calorosamente accolto tra le braccia e le lacrime di gioia dei suoi familiari e dei suoi amici. Il giovane trentacinquenne ortese, padre di tre bambini, lavorava come operaio in un cantiere edile in Toscana per la costruzione di un viadotto sul fiume Tevere, nella zona industriale di Sansepolcro, in provincia di Arezzo. La mattina del 26 novembre, però, accade un evento di quelli che ti stringono un nodo alla gola tanto la levarti il fiato: mentre Giuseppe stava svolgendo dei regolari lavori di manutenzione sul ponte, rimase vittima di un gravissimo incidente sul lavoro. Il trentacinquenne atellano, infatti, compì un tremendo salto nel vuoto di diversi metri precipitando da un ponteggio in allestimento per poi accasciarsi al suolo privo di sensi. Disperata fu in quel drammatico frangente la corsa in ospedale per il giovane padre di famiglia il quale venne trasportato dai soccorritori del 118 in elisoccorso dal cantiere, teatro dell’incidente, fino all’ospedale Careggi di Firenze, in codice rosso. Le sue condizioni di salute, infatti, erano davvero critiche, per via dei numerosi traumi subiti a causa della caduta. Iniziò così il lungo e doloroso calvario ma anche l’instancabile e valorosa battaglia di Giuseppe, con l’equipe medica del centro traumatologico sanitario fiorentino impegnata in un’eroica lotta contro il tempo per salvargli la vita.
Ma le speranze degli amici e dei parenti, che non hanno mai smesso di credere in un destino diverso per il giovane affinché trovasse un epilogo dal lieto finale, stretti attorno al loro caro familiare seppur a centinaia di chilometri di distanza, non si sono mai spente né esaurite. Dopo essere andato in coma e aver lottato tra la vita e la morte come un leone, paralizzato per quattro mesi in un letto d’ospedale, Giuseppe è riuscito finalmente a uscire vincitore nella sua incredibile e personale battaglia per la vita. Si potrebbe benissimo affermare che il trentacinquenne sia “vivo per miracolo”, merito sicuramente dei medici che hanno fatto di tutto per salvarlo grazie a una serie di delicati interventi chirurgici, ma è anche merito del giovane padre che ha lottato per la sua famiglia, la quale gli ha dato la forza e il coraggio per combattere e non arrendersi mai, nemmeno di fronte alle più difficili atrocità e a uno straziante dolore. Quella di Giuseppe è la storia di tanti lavoratori, di instancabili padri di famiglia che meritano rispetto e sostegno e che ogni giorno rischiano la propria vita pur di portare un pezzo di pane a casa. Una condizione che però ci obbliga anche a fare una riflessione seria più ampia e profonda sulle condizioni in cui si versano ancora oggi tantissimi operai, la cui incolumità e sicurezza sul lavoro è spesso compromessa, e che invece andrebbe garantita e rispettata sempre e comunque sul posto di lavoro.