Il 9 settembre del 1999, i sistemi informatici dotati esclusivamente di quattro cifre per rappresentare le date, impazziscono. Il motivo è semplice: il numero 9999 (9/9/99, per l’appunto) risulta essere l’ultimo disponibile in questo metodo di enumerazione. È la famosa leggenda del Millennium Bug e, da questa storia, presero spunto i Daft Punk per costruire la loro personale mitologia artistica: gli effetti collaterali del bug, infatti, si manifestarono nello studio dei due dj francesi che, intenti a produrre musica elettronica, vennero folgorati dalla corrente sprigionata da una macchina e divennero dei robot. Da questo momento in poi, il duo perse la capacità umana di inventare musica da zero, suonando sintetizzatori e strumenti reali come aveva fatto nel disco di debutto, Homework, e si dedicò quindi alla sola manipolazione artificiale di frammenti sonori di altri artisti, perfezionando la tecnica del campionamento, in inglese sample. Non a caso, si dice che la famosa macchina nella leggenda fosse proprio un campionatore.
Cos’è un campionatore? Spieghiamolo con un esempio pratico: se registriamo con il nostro smartphone un frammento di una canzone che sta passando in radio e lo riproduciamo in continuazione, otteniamo un loop: una ripetizione ciclica del frammento che abbiamo registrato che, a primo impatto, ricorderebbe un vecchio disco rotto. Questo procedimento, qui esemplificato all’osso, è alla base del secondo lavoro discografico del duo, Discovery, un album che portò definitivamente questa tecnica nel mondo pop ed ebbe un impatto importantissimo per la produzione di ogni tipo di musica.
Sembra di sentire da qui il lamento dei puristi, convinti che la musica non si possa creare senza suonare degli strumenti. Tuttavia, definire il criterio con cui questi frammenti sonori devono convivere tra loro, avere il gusto adatto per capire cosa si incastra bene e cosa no, avere le competenze tecniche e informatiche per manipolare digitalmente questi suoni può risultare difficile quanto suonare uno strumento musicale: ve lo posso assicurare. L’artista non crea da zero ma diventa un artigiano: le canzoni che passano in radio diventano esse stesse uno strumento che, con la giusta intonazione o il ritmo adatto, può essere suonato e incastrato come si vuole.
Ma è possibile creare canzoni intere con una propria identità, che siano orecchiabili e ballabili usando esclusivamente frammenti di canzoni già pubblicate da altri? A questa domanda aveva già risposto Rocco Tanica (all’anagrafe Sergio Conforti) esattamente dieci anni prima dei Daft Punk: il tastierista e membro fondatore degli Elio e le Storie Tese, da sempre appassionato di manipolazione sonora digitale, aveva già prodotto un disco intero nel 1991 utilizzando questa tecnica, con l’aiuto del compagno di band Feiez. L’album di debutto di Claudio Bisio, Patè d’Animo, risulta oggi sconosciuto ai più, anche se il singolo di punta Rapput venne presentato al Festivalbar di quell’anno diventando poi un tormentone estivo. La risposta definitiva la si ebbe nel 1992 quando, resosi conto della potenzialità del campionamento, Rocco Tanica regalò il primo singolo di successo della band milanese: il Pipppero, infatti, raggiunse il primo posto in classifica diventando uno dei brani più gettonati nelle discoteche italiane.
Escludendo la voce di Elio, se analizziamo il brano scopriamo che la batteria è campionata da I’ve Got the Power degli Snap, il riff di chitarra è una manipolazione di I Feel Fine dei Beatles, il basso e la seconda voce sono del brano Ramaya di Afric Simone (citato più volte nel testo) e un’altra voce di accompagnamento è campionata dall’intro di Barbara Ann dei Beach Boys. Come se non bastasse, l’intera canzone è una parodia di un successo del gruppo bulgaro Le Mystere Des Voix Bulgares chiamato Dyulmano Dyulbero (titolo diventato “più umano più vero” nel testo degli Elii), pezzo vincitore di un Grammy Award nel 1989.
Quest’insieme di frammenti sonori così diversi quindi, se sapientemente mescolato, funziona. Come al solito, la differenza la fa l’idea, la mente creativa: l’artista, appunto. Non è un caso che i Daft Punk, pur non avendo inventato per primi questa tecnica, l’abbiano sviluppata al punto da renderla il pilastro su cui si basa la loro intera produzione musicale. Nei dischi del duo francese si sentono spesso anche delle voci “da robot”, ottenute con due effetti: il vocoder o il talk box. È un altro grande marchio di fabbrica del loro stile, ma siamo sicuri che almeno questa sia una loro idea originale? Nel 1978 i Kraftwerk, veri pionieri della musica elettronica, pubblicarono un brano dal titolo The Robots con la voce filtrata nel vocoder e con un video nel quale fingevano di essere dei robot! Quindi anche la trovata del Millennium Bug, a parte l’accuratezza storica con la quale è stata inscenata, in realtà non è nuova.
E, se proprio vogliamo dirla tutta, già da qualche anno prima di Rocco Tanica, la tecnica del campionamento spopolava nelle produzioni rap di artisti in tutto il mondo: la semplice struttura della ossessiva ripetizione di un sample, infatti, abbracciava perfettamente le rime veloci sputate dai rapper. Ma, quindi, è giusto bistrattare un artista perché non ha prodotto arte da zero? Ovviamente dipende. È sicuramente sbagliato da ascoltatore cercare a tutti i costi di accostare un artista nuovo a qualcosa che già esiste, sarebbe come dire che ogni cantautore con una chitarra acustica imiti Bob Dylan! È altrettanto sbagliato da parte di un artista, tuttavia, scopiazzare uno stile o addirittura scimmiottare i propri idoli perché non si hanno idee (Greta Van Fleet, sto parlando di voi!).
L’esempio perfetto di come rinnovare qualcosa che già esiste ce lo offrono, ancora una volta, gli stessi Daft Punk con Random Access Memories, il disco pubblicato nel 2013 che, dopo la recente separazione del duo, rimarrà nella storia come il loro ultimo lavoro musicale. Anche in questo caso i due non hanno inventato niente (e nella maggior parte dei brani non hanno nemmeno suonato!), sono stati semplicemente bravi nell’omaggiare i futuristici sintetizzatori di Giorgio Moroder e la disco music, entrambi fenomeni degli anni ’70. Reinventare qualcosa di già esistente con personalità e gusto è lo stesso concetto che si trova alla base dell’arte rinascimentale e, come spesso avviene, può avere un impatto determinante sulle produzioni successive: dal 2013 ad oggi, complice anche il singolo tormentone Get Lucky, molti brani in pieno stile discomusic anni ‘70 sono tornati ai primi posti in classifica, a partire da Uptown Funk di Mark Ronson e Bruno Mars fino alla più recente Don’t Start Now di Dua Lipa.
Sfuggire da questa formula a tutti i costi può anche risultare controproducente: spesso chi prova a creare qualcosa partendo dal nulla finisce col trovarsi tra le mani un prodotto artistico forzato, che ostenta una volontà di originalità fine a sé stessa. La bravura di un artista non si vede da questo, ma piuttosto dalla capacità di lasciare la propria impronta a prescindere dal tipo di prodotto e, perché no, anche nel saper cogliere il momento esatto nel tempo in cui qualcosa di passato può tornare in auge, così come hanno fatto i Daft Punk quel 9 settembre 1999.
Segui già la pagina Facebook Il Crivello.it?