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Home Inchieste

Il clan dei Casalesi: la nuova geografia, gli affari e le strategie

Ignazio Riccio di Ignazio Riccio
16 Dicembre 2019
in Inchieste
moglie del

Sono anni che a Casal di Principe e nell’hinterland dell’Agro aversano non si spara più. L’ultimo vero omicidio di camorra in provincia di Caserta risale al lontano 2010, quando l’offensiva dello Stato nei confronti del clan dei Casalesi è diventata asfissiante. Allora, in 24 mesi, con gli arresti di Antonio Iovine, detto ‘o ninno, e di Michele Zagaria, uno dei boss più feroci dell’organizzazione criminale casertana, la Direzione distrettuale antimafia di Napoli è riuscita a decapitare i vertici del clan camorristico. Con i boss Francesco Schiavone, conosciuto col nomignolo di Sandokan, e Francesco Bidognetti già in carcere dagli anni Novanta e il fondatore del clan dei Casalesi Antonio Bardellino, assassinato in Brasile nel 1998, la camorra di Terra di Lavoro ha perso i suoi storici punti di riferimento. I pentimenti dei “rampolli” degli storici boss, come nel caso di Nicola Schiavone, hanno fatto il resto. Le attenzioni mediatiche, da un po’ di tempo, si sono spostate nel territorio napoletano. Giornali e televisioni concentrano il loro interesse sugli efferati omicidi commessi negli ultimi anni e sul fenomeno delle cosiddette “paranze” dei bambini, i gruppi di minorenni dediti alle attività criminali, sviscerato in maniera dettagliata in uno degli ultimi lavori dell’autore di Gomorra, Roberto Saviano.

A CASAL DI PRINCIPE NON SI SPARA DA TEMPO

Non lascia tranquilli gli inquirenti il fatto che a Casal di Principe non si spari. Le organizzazioni criminali sono abituate ad agire sottotraccia ed è evidente che i processi economici illegali sono più floridi quando non si fanno morti. Il pubblico ministero Catello Maresca, insieme a un pool di magistrati della Dda di Napoli, ha indagato per tre anni sul boss Zagaria, fino al suo arresto avvenuto in un bunker costruito sotto le fondamenta di un’abitazione a Casapesenna, un Comune non lontano da Casal di Principe. Un po’ di tempo fa, il magistrato ha ribadito che il clan dei Casalesi è vivo e vegeto. Non basta colpire l’ala militare di un’organizzazione camorristica ramificata sul territorio nazionale e all’estero per sconfiggere un sistema consolidato, un apparato capace di strutturare i propri affari anche nei mercati legali, grazie ai rapporti diretti intrecciati con esponenti cardine delle istituzioni statali. Per i giudici sarebbe un grave errore pensare di aver vinto la guerra contro di loro. Non bisogna abbassare la guardia. Non basta, però, l’azione della magistratura, perché in Campania, ma non solo, ci sono condizioni economiche, sociali e culturali così difficili da favorire il proliferare del ricorso alle strade dell’illegalità e su questo terreno è soprattutto lo Stato che deve intervenire.  Ma, smantellato il vecchio cartello a capo dell’organizzazione criminale, chi sono i nuovi Casalesi e, soprattutto, quali sono i loro business?

IL RUOLO STRATEGICO DELLE DONNE

In gran parte sono i figli e i nipoti delle famiglie storiche a reggere le fila del clan, ma altri gruppi locali alleati stanno curando, per conto dei vecchi boss, gli affari illeciti. Un ruolo sempre più strategico lo hanno assunto le donne: mogli, figlie e nuore dei capi in carcere si occupano in prima persona di dirigere i traffici illeciti. In una delle ultime relazioni della Direzione investigativa antimafia è confermata sia la persistente forza di intimidazione e di controllo del territorio del cartello dei Casalesi – nonostante lo stato di detenzione dei boss – sia la commistione dell’organizzazione con apparati amministrativi e imprenditoriali locali.  La patologia di questi rapporti, cementati dalla corruzione, si realizza attraverso l’illecita concessione di autorizzazioni, licenze e varianti urbanistiche; con l’omissione dei controlli e con l’imposizione di assunzioni, di affidamenti di incarichi di progettazione, di lavori e manutenzioni, fino all’aggiudicazione della gara all’impresa camorrista. Tra le tecniche utilizzate per orientare le gare di appalto, emerge il cosiddetto “metodo del tavolino”, consistente nel programmare una rotazione illecita degli appalti pubblici, che si fonda sull’accordo tacito secondo il quale, a turno, tutte le imprese partecipanti al “sistema” si impegnano preventivamente ad offrire, nel corso della gara, il maggior ribasso – già concordato – acquisendo in questo modo la certezza di ottenere l’aggiudicazione dell’appalto pubblico.  Il sodalizio criminale diventa un “associato in partecipazione occulta” dell’impresa, nella quale conferisce, al posto del denaro, la forza di intimidazione camorristica, ricavandone come compenso una percentuale sul corrispettivo percepito dall’imprenditore.

LE MANI SUL SETTORE SANITARIO

Questo paradigma funziona anche nella Sanità e, recentemente nel settore farmaceutico, come testimoniano le indagini degli inquirenti che, in linea con quanto già emerso nel recente passato, evidenzia l’intervento dell’organizzazione nella gestione di attività strumentali al funzionamento di alcune grandi strutture ospedaliere campane. La strategia di contaminazione del territorio, attuata attraverso l’opera di professionisti e apparati istituzionali compiacenti, sembra consolidarsi anche fuori regione Campania e all’estero, specie in Romania, dove si conferma l’operatività dei gruppi camorristici nel settore del gioco e delle scommesse illegali, anche on line, in alcuni casi in sinergia con la ‘ndrangheta e cosa nostra. Il traffico di stupefacenti, insieme alle scommesse, si attesta tra le principali fonti di finanziamento e vede i Casalesi sempre più inseriti nella gestione dei grandi flussi della droga di provenienza sudamericana e nordafricana, potendo contare su strutturate reti criminali in grado di rinnovare le tecniche di occultamento e di modificare costantemente le rotte internazionali. Anche su questo fronte, si registrano consolidate relazioni affaristiche con narcotrafficanti stranieri, facilitate dal trasferimento all’estero di pregiudicati campani.

GLI AFFARI INTERNAZIONALI

Oltre alla Spagna e all’Olanda, tra i Paesi interessati al traffico internazionale di droga figurano la Turchia, l’Ecuador, la Colombia e il Venezuela. Altro importante settore verso cui il clan dei Casalesi continua a manifestare interesse è quello dell’agroalimentare. In questo comparto le mafie tendono a fare “cartello”, agendo sull’intera filiera: dall’accaparramento dei terreni agricoli all’intermediazione nella vendita dei prodotti, dal trasporto e lo stoccaggio dei questi ultimi, fino al reinvestimento dei profitti illeciti nei centri commerciali, cui deve aggiungersi l’imposizione della vendita di determinate marche di generi alimentari, quale altra forma di velata estorsione. Il fenomeno delle agromafie s’intreccia con altre fattispecie delittuose, quali lo smaltimento illegale dei rifiuti e il conseguente inquinamento di terreni e falde acquifere. Un ventaglio di attività su cui investire, variegato e prolifico. È davvero difficile fare i conti in tasca al clan dei Casalesi, ma senza dubbio si tratta di una vera multinazionale occulta. Ci ha provato diversi anni fa il Corriere Economia a fare una stima dell’impero economico della camorra casertana e il risultato fu impressionante: allora, se avessero avuto un bilancio consolidato in cui far confluire gli affari italiani ed esteri, i Casalesi avrebbero fatturato ogni anno circa 5 miliardi di euro. Oggi, per le innumerevoli ramificazioni delle attività illecite, quella cifra è cresciuta notevolmente, ma resta arduo snocciolare cifre.

 

Tags: camorraclan dei casalesi
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