Si chiamano mankai (o lenticchie d’acqua) e sono tanto proteiche da essere simpaticamente definite “polpette vegetali“. Se nel mondo orientale sono fra i cibi più presenti nell’alimentazione quotidiana, in Occidente non sono ancora diffuse e molti nemmeno sanno cosa siano. Conoscere ed introdurre nuovi alimenti è una pratica di grande importanza in un mondo sempre più interessato alla scoperta di nuove fonti proteiche, per rispondere alle esigenze di vegetariani e vegani ma anche semplicemente di chi vuole variare la propria alimentazione. Le lenticchie d’acqua contengono, in percentuale a parità di grammi, un quantitativo di proteine quasi analogo alla carne: un loro impiego diffuso potrebbe limitare significativamente il consumo di carni e, di conseguenza, tutti i danni da abuso a esso collegati. Un minor consumo di carni a favore di scelte “green” come le lenticchie d’acqua contribuirebbe, inoltre, alla riduzione degli allevamenti intensivi, un’industria dall’elevatissimo impatto ambientale.
Sorgono spontanee, a questo punto, delle domande: “La coltivazione di lenticchie d’acqua è sostenibile da un punto di vista ambientale? Che impatto ha sul pianeta?” La risposta è semplice: sì. È di gran lunga più sostenibile anche rispetto alla coltivazione di alimenti come la soia, poiché richiede molta meno acqua e può essere coltivata tutto l’anno in ambienti chiusi. I benefici di questo prodotto non terminano qui: il problema della scelta di fonti proteiche vegetali è sempre stata, infatti, la loro carenza in amminoacidi, utili se non indispensabili per il nostro organismo, nonché la minor biodisponibilità di ferro rispetto a quello legato all’emoglobina tipica delle fonti proteiche animali. Le lenticchie d’acqua sembrano differenziarsi anche in questo caso dalle altre fonti proteiche, distinguendosi per contenuto in amminoacidi e biodisponibilità del ferro.