Si apre la sala virtuale di Venezia a Napoli. Il cinema esteso, la rassegna cinematografica che dal 2011 propone agli appassionati campani il meglio della Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia di quello stesso anno. Il festival, ideato e diretto da Antonella Di Nocera, per celebrare la sua decima edizione è stato costretto a rimodularsi online a causa della pandemia, utilizzando la piattaforma MyMovies, che da oggi fino al 20 dicembre proporrà gli incontri con più di trenta ospiti (tra questi Tsai Ming-liang e Shinya Tsukamoto che terranno due masterclass, Alice Rohrwacher, Jasmine Trinca, Laurie Anderson) e le proiezioni di oltre venti opere (di cui undici anteprime nazionali) per una settimana densa di appuntamenti nel segno del grande cinema.
La giornata preludio della kermesse, che ha anticipato l’inaugurazione ufficiale prevista per domani, è stata intitolata al regista americano Frederick Wiseman, leggenda del cinema documentario internazionale, Leone d’oro e Oscar alla carriera nel 2014 e nel 2016, autore di ben quarantasei opere dal 1967 a oggi, presente in cartellone col suo lavoro più recente, City Hall. Il film, un’opera fiume di quattro ore figlia del più grande cinema di osservazione, mette al centro della narrazione Boston, città natale di Wiseman, e l’attività quotidiana del suo sindaco dem Marty Walsh.

Si tratta di un lavoro, come ricorda il cineasta che a Capodanno compirà 91 anni, emerso dalle 104 ore di girato accumulato in dieci settimane di riprese (tra l’autunno 2018 e l’inverno 2019) e nato dopo un anno di montaggio: “Le riprese del film – racconta Wiseman, spiegando il suo abituale modo di lavorare – erano la ricerca stessa”. City Hall è un’opera monumentale, che aggiunge l’ennesimo tassello a quell’enciclopedica mappa dell’umanità costruita dal documentarista in cinquantacinque anni di indefessa attività e che riesce a fornire una fotografia alternativa della politica americana nell’era Trump, poiché l’amministrazione del sindaco Walsh ha rappresentato in questi anni il contrario di quella dell’ex-presidente statunitense.
Attraverso un’esplorazione dello spazio urbano in tutta la sua complessità etnica e sociale (“Nel film ci sono riprese di ben 13 dei 23 quartieri cittadini: volevo dare un’idea della diversità dei luoghi e ho cercato di suggerirlo dalle differenze architettoniche”), Wiseman racconta l’ambiguità dell’esperienza e della natura umana mantenendo “la tecnica al servizio del soggetto e non il soggetto al servizio della tecnica”.
Così, il suo film diventa la testimonianza irriducibile di un artista sempre in movimento (anche oggi sta scrivendo la sceneggiatura di un film monologo “che – anticipa – vorrei girare in primavera“), uno spirito instancabile capace di mantenere lo sguardo vigile sul reale: “Sono sempre più interessato da quello che potrei fare in futuro – dice ancora Wiseman in collegamento dalla sua casa di Parigi – rispetto a ciò che ho fatto in passato. Non mi sembra di aver raggiunto la fine, perché ci sono migliaia di buoni soggetti che ancora non sono stati affrontati e io spero di riuscire a farne ancora qualcuno”. Per poi concludere, con un sorriso smaliziato: “Conto di arrivare a cinquanta film, così poi potrò parlare dei sessanta”.
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