La complessa “micro-economia” di batteri, funghi e piante
Le micorrize sono un’associazione simbiontica tra funghi e piante. Questo rapporto di mutuo supporto avviene di solito nell’apparato radicale delle piante e alcuni esempi di queste relazioni sono abbastanza conosciute, come per il tartufo o le orchidee. Eppure in certi casi, come per piccole piante arbuscolari come il grano, sebbene i funghi si procurino azoto e fosforo per fornirlo alla pianta a cui sono associate, non sono in grado di prestarglielo in una forma adeguata. Azoto e fosforo vengono infatti assorbiti sotto forma di molecole ingombranti e complesse e le piante non sono in grado di “liberarli”. Per meglio comprendere i rapporti tra funghi e piante, i ricercatori del Boyce Thompson Institute, della Cornell University, hanno condotto recentemente uno studio. Hanno ipotizzato che tra piante e funghi ci fossero degli intermediari: i batteri. Le piante forniscono usualmente dei grassi in cambio di azoto e fosforo, ma la relazione è più complicata, dal momento che almeno due specie diverse di funghi, Rhyzophagus irregularis e Brachipodium dystachion formano complesse ed eterogenee colonie tra le radici vegetali. Le ife fungine formano “autostrade” per i batteri, che proteggono i funghi e liberano azoto e fosforo in una forma più accessibile. In cambio le “autostrade” fungine facilitano ai batteri la caccia ad altri microbi. Le piante beneficiano dei composti più accessibili e scambiano coi funghi grassi essenziali alla loro crescita. Questo studio non solo evidenzia la complessa rete di rapporti ecologici del microbioma radicale nelle piante, ma suggerisce anche che arricchire i terreni con certe specie batteriche possa migliorare la crescita di piante utili senza usare fertilizzanti costosi.
È la luce a raccontarci la storia di una cometa
In due studi, ricercatori da team internazionali comprendenti astronomi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica italiano hanno raccolto informazioni su una cometa scoperta di recente. Si chiama 2I/Borisov, una cometa interstellare tra le più integre mai osservate. Gli scienziati ritengono che prima di entrare nel Sistema Solare essa non abbia orbitato nelle vicinanze di alcuna altra stella. Per affermarlo, sono state studiate le proprietà polarimetriche della luce entrata in contatto con la loro coda o chioma. Quando la luce entra in contatto con le polveri che la cometa lascia dietro di sé, viene deviata di un certo angolo e alcune sue frequenze sono riassorbite. Questa modificazione delle onde luminose può dare informazioni circa la composizione chimica e fisica dei minerali della cometa. In particolare la maggiore polarizzazione della luce studiata, è tipica della luce che attraversa frammenti molto molto piccoli. Una cometa con una coda così “fine” deve essere molto compatta: da questo gli studiosi hanno dedotto che non ha subito urti o grandi “sbalzi”. Una comparazione è stata fatta inoltre con i dati della cometa Hale-Bopp, la luminosa cometa famosa negli anni ’90. Anche lei aveva meravigliato per la sua compattezza, sebbene la 2I/Borisov sia ancora più compatta. La luce, inoltre, ci racconta che su quest’ultima è presente acqua, dunque è la prima volta che si osserva acqua interstellare. La formazione della cometa sembra essere avvenuta in un disco protoplanetario di un sistema lontano e distinto da quello di Hale-Bopp, ma molto simile. Questi studi avvalorano le ipotesi che gli astronomi hanno formulato riguardo la formazione di corpi celesti all’esterno del nostro Sistema Solare.
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