“Il nostro rapporto col cinema è cambiato da molto prima che arrivasse il Covid-19. Quando ero bambino il cinema era un luogo solitario, isolato come un tempio, e quando lo spettatore vi entrava percepiva un grande senso di maestosità. Oggi, tra sale sempre più piccole e Netflix, questo senso di grandezza, di specialità, è venuto meno”. È iniziata così la storica masterclass tenuta da Tsai Ming-liang durante la decima edizione del festival Venezia a Napoli. Il cinema esteso. Collegato dalla sua stanza taiwanese, il maestro del Nuovo Cinema di Taiwan, già vincitore del Leone d’oro nel 1994 per Vive l’amour, è stato ospite d’eccezione della rassegna diretta da Antonella Di Nocera e ha dialogato con Giulio Sangiorgio, il direttore del settimanale Film Tv. Il cineasta, autore di pellicole memorabili nella storia della settima arte come Goodbye, Dragon Inn e di capolavori recenti come Stray Dogs o Your Face, ha regalato a una platea virtuale di cinquanta spettatori (ma da oggi è disponibile per tutti in streaming) una lezione di cinema e di creatività attraverso una riflessione sulla propria poetica.

“Il cinema avviene nel suo scorrere, lo scorrere deriva dal tempo e il senso realistico del mio cinema passa attraverso lo scorrere del tempo”, dice Tsai Ming-liang. E precisa: “Quando si gira esiste un tempo utile al racconto e un tempo dei vuoti; io riprendo il secondo. Mi interessa rappresentare il tempo indefinito, il tempo della noia, perché è quello che ha bisogno di essere tutelato”. Un’idea estetica della durata che rimanda totalmente alla sua regia pittorica fatta da inquadrature statiche e immagini che scolpiscono il tempo e che si oppongono a quella società delle immagini: “Oggi ogni cosa è in eccesso. Ma questa abbondanza visuale rasenta la superficialità, è solo sensazionalistica. Non riusciamo più a guardare un’immagine, a soffermarci”.
Un cinema di poesia, quello del regista naturalizzato taiwanese, tutto debitore delle lezioni di Antonioni, Visconti e Fellini, che sin dal suo esordio negli anni Novanta fino ai lavori più recenti legati a installazioni museali ha sempre rappresentato un atto di resistenza artistica verso una certa industria cinematografica: “Oggi il cinema stimola semplicemente gli organi percettivi fino all’esasperazione. Punta alla comprensione, non punta alla contemplazione. Io invece non ho nessuna dimensione moralistica, per me non conta che lo spettatore comprenda qualcosa. Io voglio che il mio pubblico guardando un film trovi il bello”. Che fossero fantasmatici paesaggi urbani o silenziosi corpi attoriali feticci (come quello di Lee Kang-sheng, ricorrente in tutta la sua filmografia), l’opera di Tsai Ming-liang ha sempre ripreso il reale sublimandolo con cuore partecipe, trasformando l’occhio cinematografico in intimo scandaglio delle fragilità più profonde (“Mi concentro sull’oscurità, sullo Yin”) convinto che “l’uomo abbia bisogno di essere consolato”.

Dopo il memorabile incontro col regista taiwanese, il festival si chiuderà con il gran finale di domani. Si inizia alle 12 con la replica della masterclass tenuta stamane dal visionario Shinya Tsukamoto per proseguire alle ore 19 prima con i registi dei corti della Settimana della Critica di Venezia e dopo con Andrea Segre, che presenterà il suo recente docufilm Molecole, dedicato alla città di Venezia al tempo del lockdown. A seguire, il regista Alessandro Rossellini, primo nipote di Roberto, proporrà il materiale inedito di The Rossellinis, opera presentata alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia che affronta la saga della famiglia. Infine, dalle 21, la direttrice del festival Antonella Di Nocella e il produttore Angelo Curti dialogheranno con Laurie Anderson, artista totale tra le figure più sperimentali della scena americana, per celebrare nel migliore dei modi, in quest’anno virtuale, la chiusura di sipario su una comunque notevole decima edizione di Venezia a Napoli. Il cinema esteso.
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