Il programma urbanistico delle amministrazioni locali di fine Ottocento, inizio Novecento, su una vasta zona che parte da Cesa, fino ad arrivare a Giugliano, era basato su un principio: tutte le opere progettate avrebbero dovuto accrescere lo splendore del territorio, apportando vantaggi sotto l’aspetto della civiltà e dell’igiene. A quegli anni risalgono i primi lavori di “basolamento” delle strade, fino ad allora a terra piena, ma soprattutto la costruzione di importanti strade di collegamento tra i Comuni di Cesa, Sant’Antimo, Aversa, Casandrino e Giugliano, riqualificando l’intera area e creando sbocchi viari verso Napoli e verso la provincia di Caserta.
All’epoca, ogni amministrazione comunale mirava a dare alla città un orizzonte, una speranza, un obiettivo a lungo termine. I governanti avevano ben presente che la buona politica significava impegno serio e concreto in campo urbanistico. Oggi, si punta esclusivamente a quel sottoprodotto dell’urbanistica, i lavori pubblici, riducendo l’azione di possibile crescita territoriale ad asfalto, parcheggi e rotatorie. Il filosofo James Hillman, nel suo libro La politica della bellezza, scriveva che il mestiere di governare la cosa pubblica ha bandito quel sentimento di misura e di armonia cosmica che accende Eros, cioè l’amore per l’anima in tutte le sue manifestazioni, non soltanto umane.
Da tempo la politica sembra aver perso il senso della bellezza per salvaguardare il proprio territorio, per la comunità e la città. Le strade sono invase da rifiuti e da erbacce, le caditoie otturate e maleodoranti, davanti agli occhi dei passanti si vedono scheletri di palazzi che mai verranno costruiti. L’invasione di scarafaggi e topi per le strade e nelle case è la conseguenza della forma moderna del “vandalismo” delle attuali classi dirigenti. I “nuovi barbari“ della politica e della burocrazia, impegnati nei loro business milionari, fanno sì che le strutture sul territorio si rovinino da sole, attraverso l’indifferenza. Per loro conta solo ciò che è utile e profittevole.
Ne sono un chiaro esempio i lavori rientranti nel “Por Fers 2007-2013 Obiettivo operativo 6.1. Fondo Jessica”, relativi al progetto di riqualificazione urbana e ambientale delle aree libere comunali, per un importo di 3 milioni di euro, riguardanti la realizzazione di parcheggi nel Comune di Sant’Antimo. Lavori che non solo non hanno riqualificato esteticamente le aree interessate, ma non hanno apportato utilità ai cittadini, già vessati da tasse degne di una colonia romana
I risultati di questo progetto di riqualificazione lasciano a dir poco perplessi: ecostand abusivi, abbattuti e mai ricostruiti, villette in gran parte non utilizzabili o pericolose per i cittadini. Un “antimodello” di riqualificazione, che si configura come espressione visibile dell’egemonia di un sistema di relazioni che non si preoccupa di distruggere la bellezza del territorio e il benessere degli abitanti. A Grumo Nevano, per esempio, una intricata vicenda burocratica e un lungo iter dinanzi alla giustizia amministrativa hanno lasciato in eredità ai cittadini grumesi, al posto dell’antico Palazzo Nappi, uno scheletro di cemento armato sul corso principale. L’abbattimento del palazzo Nappi è stato vissuto come il simbolo della fine della storia di una città attiva, imprenditrice, che attualmente è diventata una città dormitorio, con un tasso di disoccupazione elevatissimo.
Se così vanno le cose da queste parti, diventa difficile convincersi e convincere che un giorno potranno cambiare, che non è inutile impegnarsi per difendere la bellezza di un borgo, la nobile antichità di un palazzo o le zone verdi di un territorio. Le cose, purtroppo, vanno così, perché non ci si impegna o non si partecipa abbastanza. La storia del borgo di Casapozzano è una vicenda di coraggio, ma anche di felicità per un risultato ottenuto contro ogni più rosea aspettativa.
L’antico borgo di Casapozzano è una frazione del Comune di Orta di Atella, in provincia di Caserta. Nel periodo medievale, Casapozzano appartenne al Ducato longobardo di Benevento: con la fondazione di Aversa ad opera dei Normanni fece poi parte della “Baronia Francisca seu Musca”. Fu quindi uno dei Casali di Aversa fino all’epoca Murattiana, quando, in seguito all’istituzione dei Comuni, rientrò nella giurisdizione di Succivo. Molto importante per la storia del piccolo borgo è l’antico Castello, che costituisce il nucleo e l’anima storica della cittadina.
L’antico maniero, già esistente in epoca medievale, ebbe il suo momento di splendore sotto i Capece Minutolo, che mostrarono grande interesse per l’importante edificio. Verso la fine del 1700, infatti, fu nuovamente ampliato e abbellito con stemmi, cornici e singolari ciminiere. L’attuale configurazione si deve dunque agli interventi settecenteschi e tardo ottocenteschi voluti principalmente da Alicia Higgins, nobile irlandese e moglie di Vincenzo Capece Minutolo.
Fu la stessa marchesa che nel 1848, in seguito a delle controversie con l’amministrazione governativa (a quel tempo Casapozzano era sotto la giurisdizione di Succivo) riuscì, con un plebiscito popolare, a ottenere il disgiungimento da Succivo e il passaggio alla giurisdizione di Orta di Atella. Un’altra preziosissima testimonianza della storia del borgo è la chiesa di San Michele Arcangelo in cui sono custoditi i resti di un ciclo di affreschi risalenti alla fine del Quattordicesimo e all’inizio del Quindicesimo secolo.
Dagli inizi degli anni duemila il territorio di Orta di Atella è stato fatto oggetto di una gestione eminentemente privatistica e speculativa da parte della politica, la cui perseveranza ha assunto le forme di una urbanizzazione senza regole e, quindi, di un consistente snaturamento ambientale e territoriale. Il “delirio” speculativo è arrivato a minacciare anche il cuore del borgo, con interventi di “riqualificazione urbana” inopportuni, che rischiarono di attentare pericolosamente e irreversibilmente i caratteri più peculiari dell’antico contesto. Infatti, il palazzo del marchese di Bugnano, conosciuto anche come osteria dell’antica Atella, risalente ai secoli Sedicesimo e Diciottesimo, entrò nelle mire della speculazione edilizia. Il palazzo venne in gran parte demolito dalla società che lo aveva acquistato, per edificare ex novo un alveare di circa 60 appartamenti.
Cittadini, Legambiente e alcuni deputati come Arturo Scotto iniziarono a denunciare per fermare la speculazione edilizia nel cuore del borgo di Casapozzano e a chiedere alle autorità preposte di porre il vincolo indiretto a tutta la piazza, ai sensi dell’art. 45 del D. Lgs. 42/2004. Se oggi il borgo resta ancora un luogo dove è possibile provare il gusto di una chiacchierata davanti a un caffè, lo si deve al coraggio di chi ha creduto nella necessità di tutelare la bellezza di questa zona. Ma una battaglia singola non può vincere contro la “bruttura” della politica degli affari. La vicenda del borgo di Casapozzano dimostra l’importanza della bellezza come categoria assoluta. Il bello è un modo di pensare e di vivere, preservare la bellezza significa salvare le relazioni, dà l’opportunità di rendere migliori le persone e i loro comportamenti.
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