Il Centro Studi Investimenti Sociali (Censis) ha presentato il suo 56esimo rapporto sulla situazione sociale italiana e ne emerge un quadro abbastanza cupo: oltre un italiano su quattro a rischio povertà o esclusione. Il 6,5% delle famiglie paga in ritardo le bollette. E si teme l’inflazione (il 64% degli Italiani sta ricorrendo ai risparmi)
Un Paese che, si legge nel testo, “vive in uno stato di latenza. Il nostro Paese, nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce grazie allo sforzo individuale, ma non matura” – sottolinea l’istituto, osservando che “l’Italia non cresce abbastanza o non cresce affatto e la macchina amministrativa pubblica è andata fuori giri e così non sarà in grado di trainare la ripresa“. Nel 2021 le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale: un milione in più rispetto al 2019.
Gli individui soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale sono pari al 25,4% della popolazione, ovvero oltre uno su quattro, di cui: il 41,2% sono residenti nel Mezzogiorno (a fronte del 21% nel Centro, del 17,1% nel Nord-Ovest e del 14,2% nel Nord-Est), per il 33,9% sono appartenenti a famiglie in cui il reddito principale è quello pensionistico (a fronte del 18,4% e del 22,4% appartenenti a famiglie con reddito principale da lavoro dipendente o da lavoro autonomo) e per il 64,3% sono membri di famiglie che percepiscono ‘altri redditi’, dei quali 56,6% si qualifica anche come individuo a bassa intensità lavorativa.
La crisi energetica è la principale fonte di preoccupazione per le famiglie italiane, emerge ancora dal rapporto: per il 33,4%, e la percentuale arriva al 43% tra le famiglie in una bassa condizione socio-economica, le più colpite dall’aumento dei costi incomprimibili. Il 6,5% delle famiglie italiane era in ritardo con il pagamento delle bollette (dato in linea con la media europea) nel 2021. Ancora più numerosi sono coloro che affermano di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: l’8,1% delle famiglie, un dato superiore di 1,2 punti percentuali al dato europeo.
A causa del caro-bollette anche le imprese soffrono, si stima che 355.000 aziende (8,1% delle imprese attive) potrebbero subire un grave squilibrio tra costi e ricavi. L’86,6% si colloca nel terziario, il 13,6% nel settore industriale; le criticità interessano 3,3 milioni di addetti (19,2% del totale), di cui il 74,5% nei servizi (2,5 milioni di addetti) e il 25,5% nell’industria (850.000 addetti). Se si verificassero gli esiti già osservati nelle passate ondate di crisi, sarebbero ancora una volta le microimprese a soffrire di più. Tra il 2012 e il 2020 le imprese attive si sono ridotte di 15.000 unità.
Inoltre, gli italiani temono la corsa dell’inflazione: oltre il 64% sta già mettendo mano ai risparmi per far fronte all’impatto dei rincari dei prezzi. La quasi totalità degli italiani, il 92,7%, è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi. Il 76,4% pensa che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel prossimo anno, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi) e ben il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi per fronteggiare l’inflazione.
Ma l’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi 4 punti percentuali in meno. Questo divario discende dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni (alimentari e per la casa su tutti) che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti.
Nell’ultimo periodo, tra il 2012 e il 2021, l’andamento dei prezzi riflette le conseguenze di una fase tendenzialmente deflattiva per l’Italia (in media 0,7% annuo), caratterizzata soprattutto da una moderazione salariale che ha di fatto rimosso qualsiasi rischio di innesco della spirale prezzi-salari. Ma, secondo il Censis, gli attuali livelli di inflazione – con punte di rialzo dei prezzi dei beni alimentari intorno all’11%, senza contare gli incrementi del 50% dei beni energetici – potrebbero incidere profondamente sul potere d’acquisto delle famiglie.
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