Quando si parla di camorra, di cemento, sembra si debba fare riferimento solo al denaro. In realtà, si tocca la sfera della dignità, perché la camorra non produce lavoro, ma lo ruba agli altri, con gli appalti truccati. Ad essere in gioco è il futuro, perché la criminalità lo ruba alle generazioni a venire, avvelenando la terra o devastando territori con colate di calcestruzzo. Più cemento significa, quindi, più ricchezza, ma solo per pochi. Questa equazione trova la sua massima espressione in realtà come Sant’Antimo e Orta di Atella, che sono nello stesso tempo tra i paesi con il maggiore consumo di suolo e tra i Comuni più poveri della Campania per reddito pro capite. Lo capirono in anticipo vari comitati civici, che nel dicembre del 1999, si unirono per organizzare un incontro pubblico a difesa di questi territori, minacciati da speculazioni edilizie e da spregiudicate cementificazioni. Temevano il “sacco” edilizio di queste due città, ma quel grido d’allarme rimase inascoltato.
Iniziarono in quegli anni le prime speculazioni del clan Puca, realizzate con la costruzione di villette a schiera al confine tra Sant’Antimo e Cesa e con il Parco Primavera a Melito. La svolta si ebbe, però, solo agli inizi del 2000, quando ad Orta di Atella si verificò un boom edilizio senza pari, con un incremento vertiginoso della popolazione (dai tredicimila del 2002 ai ventottomila del 2017 in un territorio di dieci kmq) non proporzionale alle accresciute attività economiche. I terreni inizialmente agricoli divennero aree edificabili, senza le necessarie opere di urbanizzazione, che avrebbe dovuto eseguire il Comune. Un iter che diede vita alla più grande speculazione edilizia dell’ultimo decennio. Gli utenti, le società, non fecero altro che acquistare il terreno ad un prezzo agricolo e assicurarsi in seguito il permesso di costruire per l’edificabilità, senza attendere la costruzione di strade, di fognature e di servizi in genere. In altri casi, l’acquisto di terreni agricoli, rivenduti come edificabili, permise agli speculatori di ottenere facili guadagni.
L’affare del “cemento abusivo” a Orta di Atella fece gola a tanti clan, anche a quelli di Sant’Antimo che, rivali da sempre, iniziarono a stringere alleanze a catena: i clan Ranucci e Petito si unirono agli ex “rivali storici” come i Verde e i Puca e poi intrapresero relazioni di buon vicinato con i clan di Napoli Nord, fino a raggiungere la provincia di Caserta, per avvicinarsi ai Casalesi o per fare affari con i Belforte di Marcianise. Ad ogni clan spettarono così dei cantieri ad Orta di Atella da controllare. Dal 2002 in poi furono rilasciati circa 2mila permessi a costruire per oltre 5mila appartamenti edificati in zona Pip o in zona industriale. Il risultato fu quello di avere un considerevole numero di fabbricati residenziali costruiti in aree a destinazione diversa, soprattutto industriale.
Il “sistema Orta di Atella” funzionò e la camorra santantimese decise di replicarlo in quella che doveva essere la zona industriale del Comune di Sant’Antimo. Nell’area, edifici nati come opifici per la segagione divennero scuole per l’infanzia, spuntarono come funghi i megastore e furono costruiti uffici in attesa di diventare appartamenti, con una concentrazione degna solo del centro direzionale di Napoli. Enormi cartelloni iniziarono a pubblicizzare case a costi decisamente irrisori. Ovunque decine e decine di annunci di affitto e vendita di case o di uffici di questo quartiere dormitorio, fatto di zone degradate per il continuo sversamento di rifiuti e per le condizioni delle strade che sembrano delle mulattiere.
Tutto ciò, considerata l’assoluta mancanza di standard infrastrutturali compatibili, determinò una commistione di destinazioni urbanistiche tra loro contrastanti, tipica dei paesi sottosviluppati, ma anche una fusione perfetta tra gli interessi della camorra, della politica e della cosiddetta borghesia locale, che con queste speculazioni fecero affari d’oro.
L’operazione Omphalos ha portato all’arresto di decine di affiliati dei clan santantimesi, con ramificazioni in Emilia Romagna, ma soprattutto ha svelato un nuovo assetto della criminalità organizzata, che ha subito una specie di mutazione genetica, trasformandosi in camorra imprenditrice. Si è passati dagli omicidi, dalle estorsioni, dalle truffe assicurative, dalla droga e dall’usura a forme di controllo di settori economici, come le scommesse legalizzate, la gestione di pompe di benzina e locali, l’edilizia privata, fino alle infiltrazioni nelle istituzioni pubbliche a livello locale.
A Sant’Antimo, dove la camorra ha raggiunto con il territorio, con la politica e con le istituzioni un rapporto simbiotico, si continua a costruire senza sosta. Nel 2019 sono stati rilasciati circa 250 permessi a costruire, molti dei quali ad amministratori comunali, parenti e a cooperative. Sul corso principale del paese una villa con un bellissimo giardino è stata abbattuta per fare spazio ad un alveare di appartamenti. A Sant’Antimo accadono anche i miracoli: imprenditori agricoli si ritrovano proprietari di ville di lusso attraverso la moltiplicazione delle volumetrie, anche con asservimento di aree localizzate nei più remoti Comuni montani. L’ufficio tecnico del Comune di Sant’Antimo continua a rilasciare permessi per cambi di destinazione di uso da uffici ad appartamenti, ai sensi dell’art. 7 comma 6 della legge regionale 19/2009, ma non è dato sapere se esistano o meno convenzioni registrate e trascritte sulle unità immobiliari per l’edilizia residenziale convenzionata, perché il Comune di Sant’Antimo continua ad essere privo di un Ufficio di Piano per le funzioni di pianificazione urbanistica. Alla camorra interessa, poi, eseguire i lavori per le concessioni rilasciate, oppure, quando le concessioni vengono date direttamente a costruttori, mira ad ottenere i subappalti e la fornitura di manodopera, così da guadagnarci sempre.
Sul tema, si susseguono polemiche e battaglie politiche tra maggioranza e opposizione consiliare, fino all’insediamento della commissione di accesso nel giugno del 2019, per stabilire se siano attivi fenomeni di infiltrazione e condizionamenti di tipo malavitoso. In particolare, sotto la lente di ingrandimento dei commissari prefettizi è finito l’ufficio tecnico comunale, perché negli ultimi anni sono accaduti fatti davvero inquietanti. Il dodici ottobre 2017, l’auto del nuovo responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Sant’Antimo, il geometra Santo Maisto, venne trivellata da colpi di mitra. Da allora, in meno di due anni, si sono alternati cinque professionisti alla guida dell’ufficio tecnico del Comune. Molti settori dell’ente locale si sono trasformati in uffici dalle porte girevoli a causa della spasmodica ricerca di dirigenti da asservire ai desiderata dell’amministrazione Russo.
Intanto, il piano regolatore del Comune di Sant’Antimo continua ad essere quello approvato negli anni Settanta. Il piano urbanistico comunale, che nasce per aggiornare il Prg alle nuove normative ed è lo strumento urbanistico generale che disciplina le trasformazioni ambientali, non è stato ancora approvato. Infatti, il bando per la redazione per il Piano urbanistico comunale è stato annullato in autotutela dall’allora sindaco Russo, perché carente delle preventive coperture finanziarie.
E poi chiacchierate cooperative, i soliti personaggi “imprenditori-prenditori” del mattone, le dolorose cronache di operai che perdono la vita lavorando senza alcuna misura di sicurezza, flussi ingenti di denaro e un apparato amministrativo che fa il bello e il cattivo tempo in una sorta di gimcana tra leggi nazionali e regionali. A prescindere dall’esito della relazione della commissione di indagine, il dato di fatto è che a Sant’Antimo come in ogni Comune dove l’elite politica ha saldato i propri interessi con imprese e gruppi come quelli camorristici, le conseguenze si riverberano sui cittadini, le cui condizioni di vita sono state negli anni seriamente compromesse per la mancata urbanizzazione, ossia per lo scompenso delle infrastrutture di servizio quali scuole, banche, uffici postali, aree verdi, marciapiedi.
Vicende clamorose che ricordano quelle di Orta di Atella, Comune più volte sciolto per infiltrazione camorristica, dove sono stati edificati migliaia di abitazioni, palazzi, ville ed edifici. Una colata di cemento, che non ha nulla da invidiare al sacco di Palermo del sindaco mafioso Vito Ciancimino e che ha reso Orta un agglomerato cementizio privo di lottizzazione.
Qui la magistratura ha iniziato a muoversi con decisione già nel 2013: 1440 appartamenti vennero sequestrati nel Parco Arcobaleno, nell’ambito dell’operazione “Domino”, per un valore stimato di settantacinque milioni di euro. Poi altri 2500 appartamenti sequestrati nel Parco Quadrifoglio in via Troisi, costruiti in difformità sia del vecchio Piano regolatore generale sia del nuovo Piano urbanistico comunale.
Iniziò anche un lungo e meticoloso lavoro di indagine, di intercettazioni telefoniche e ambientali, che ha portato alla condanna a sei anni e otto mesi dell’ex sindaco Angelo Brancaccio, perché accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso per i suoi rapporti con i casalesi e i Mallardo, dai quali avrebbe ricevuto sostegno elettorale in cambio di speculazioni edilizie. Il filone giudiziario è oggi alla base del processo presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che vede coinvolti professionisti, dirigenti, imprenditori rinviati a giudizio per ipotesi di reati gravi come l’associazione a delinquere di stampo camorristico.
Lo Stato, in sintesi, ha contrastato quello che è stato definito il sistema Brancaccio, dal nome dell’ex primo cittadino, che secondo la Procura, aveva la funzione di intrecciare relazioni con il sodalizio casalese, garantendo il rilascio di permessi a costruire alle imprese riconducibili alla criminalità organizzata. Il sistema Brancaccio rappresenta, in buona sostanza, una filiera illecita, che poteva contare su: una vasta disponibilità di terreni con destinazione urbanistica agricola e industriale; un gruppo di imprese riconducibili al sindaco Brancaccio o di paesi limitrofi, che hanno riciclato i propri capitali; compiacenti impiegati comunali e tecnici esterni ad hoc scelti dal sindaco per agevolare il rilascio di permessi a costruire e varianti per cambi di destinazione di uso. Con la vendita di tali unità abitative si è permesso un massiccio rientro di capitali, in particolare per le casse della criminalità organizzata.
L’escalation edilizia, dovuta al sistema Brancaccio, ha generato un incremento vertiginoso della popolazione. La crescita demografica assorbita dal territorio ortese non ha avuto lo stesso andamento delle infrastrutture di servizio del paese, compromettendo seriamente le condizioni di vita dei cittadini. Per comprendere meglio la gravità della situazione, basta pensare al fatto che ad Orta non esistono strutture sanitarie, in quanto l’ospedale più vicino si trova a Frattamaggiore.
L’urbanizzazione selvaggia di Orta di Atella è riconducibile a due atti amministrativi del Consiglio comunale: la delibera 61/2001 con cui viene proposta la modifica normativa tecnica di attuazione del Prg e la delibera 5/2005 per la modifica alle norme tecniche di attuazione della variante del Prg. Entrambe le delibere, non avendo seguito l’iter previsto dalla legge, sono prive di efficacia futura. Eppure, in base a queste due delibere, sono stati rilasciati svariati permessi a costruire. Persino l’approvazione del Puc nel 2013 deve essere considerata una manovra politica mirata, che conclude l’intera vicenda della urbanizzazione scellerata di Orta. Con questo strumento urbanistico l’ex sindaco Brancaccio, servendosi di tecnici esterni nominati ad hoc, tentò di sanare tutte le gravi irregolarità sui permessi a costruire rilasciati negli anni.
Per scongiurare ulteriori sequestri da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, l’iter per l’approvazione del Puc non solo avrebbe seguito tutte le indicazioni dell’ex sindaco Brancaccio, ma sarebbe stato velocissimo. Tuttavia, il celere strumento urbanistico risulta privo del parere dell’Autorità distrettuale di Bacino e privo del parere dell’Asl. In buona sostanza, il Puc non poteva essere approvato dal Consiglio comunale, perché non conforme alle norme regionali e statali e perché basato su informazioni e atti non veritieri. Tra i motivi che ha portato pochi mesi fa allo scioglimento del Comune di Orta di Atella per infiltrazione camorristica non poteva mancare la questione del Puc, per il quale l’amministrazione Villano aveva avviato l’iter di annullamento. Troppo tardi, però, per gli inquirenti, il Puc andava subito revocato.
E, infine, c’è la questione della lottizzazione abusiva: terreni agricoli che divennero in breve tempo edificabili, senza procedere alla necessaria urbanizzazione con appositi piani di lottizzazione (Pua). Questo sistema ha, di fatto, concretizzato il reato di lottizzazione abusiva nel Comune di Orta di Atella. A questi aspetti, bisogna inoltre aggiungere il mancato diniego dell’ufficio tecnico per le istanze presentate per costruire fabbricati su aree a destinazione industriale e la trasformazione di grosse volumetrie di tipo industriale in pari volumi di tipo residenziale. L’escamotage individuato dai dirigenti dell’ufficio tecnico di Orta di Atella fu quello di invitare i soggetti interessati a presentare il Pua con efficacia sanante dei titoli abilitativi edilizi, al fine di legittimare, ex post, le opere realizzate abusivamente in zone territoriali omogenee da assoggettare, da normativa di Prg, obbligatoriamente ad un preventivo piano di lottizzazione.
Secondo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per tutte le zone territoriali omogenee “C” e “D” è obbligatorio il preventivo piano di lottizzazione e, inoltre, il ricorso, in questi casi, all’art. 38 del testo unico dell’edilizia non permette di sanare, come è avvenuto ad Orta di Atella, interventi configurati come lottizzazione abusiva. Invece, l’amministrazione Brancaccio, attraverso tecnici asserviti alle sue indicazioni, non solo legittimò il ricorso ai Pua postumi attraverso l’art. 8 del Puc, ma si premurò anche di risolvere la problematica del considerevole numero di opere di abusive edificate su terreni non lottizzati, avviando la procedura ex art. 38 del testo unico dell’edilizia e non ex art. 31. Una differenza non di poco conto se si pensa al fatto che l’art. 38 consente di evitare la demolizione delle opere abusive mediante il pagamento di una sanzione pecuniaria. Purtroppo, a beneficarne furono soprattutto imprese dei clan come la Ital Casa immobiliare srl collegata a boss del calibro di Bidognetti e Francesco Setola.
Le dinamiche che hanno riguardato negli ultimi anni Comuni come Orta e Sant’Antimo dimostrano che quando si afferma che “tanto i camorristi si ammazzano tra loro”, si sta facendo un regalo alla camorra, perché non è così. Oltre ad ammazzarsi tra loro, in questi paesi la criminalità organizzata ha deturpato territori dai paesaggi bellissimi e dalla storia antichissima. Allora, con malinconia, viene da chiedersi che cosa si possa fare dinnanzi a tutto questo. Per prima cosa, è fondamentale parlarne, ricordando che le vicende come quella del sacco di Orta di Atella sono legate ai clan sanguinari come quello dei Casalesi, ma anche alle storie di uomini, che hanno provato a combattere contro la camorra, contro le speculazioni edilizie, facendo il loro dovere di cittadini o di amministratori comunali. Per fortuna, non tutto è perduto.