L’anima profonda di Sant’Antimo risiedeva in uno spazio preciso della città: il famoso “decumano”, che divideva in due parti uguali un paese allora di piccole botteghe e di vecchine sedute avanti all’uscio di casa. Da qualche decennio il centro storico, il cuore pulsante di Sant’Antimo, ha smesso di battere e i problemi di quella zona riemergono violentemente in occasione di qualche sciagura come il crollo della palazzina di via Giannangeli.
Sant’Antimo è una città che ha venduto la propria anima alla criminalità e oggi ne sta pagando le conseguenze, perché non è stata solo coperta da una colata di cemento, ma anche da colate di malaffare, di mala gestio della cosa pubblica e soprattutto di cattiva coscienza civile. Il calcestruzzo, che ha coperto le campagne e le zone verdi come il bosco di Capezza, non ha rappresentato solo una catastrofe dal punto di vista ambientale, ma è stata qualcosa di più: una catastrofe civile, politica e morale.
Un disastro a rallentatore, che inizia negli anni Settanta, quando le giunte comunali di sinistra cercarono di realizzare progetti importanti per lo sviluppo razionale del territorio santantimese. Ad esempio, nel piano regolatore dell’epoca era prevista una vasta zona industriale nei pressi della via Appia. Si discuteva di grandi piani industriali come quello relativo a uno stabilimento dell’Alfa Romeo in quella zona. Molti imprenditori locali, con una logica miope ed egoistica, fecero fallire ogni tentativo di sviluppo industriale, al fine di poter contare su manodopera a basso costo da impiegare nelle loro attività.
Negli anni Ottanta, il Comune iniziava a subire un assalto silenzioso, ma costante da parte della malavita, che in città aveva i suoi due maggiori punti di riferimento nei clan Puca e Verde. La camorra si accingeva ad occupare il centro della scena e la compravendita del voto assumerà d’ora in avanti connotati di massa. Agli anni Ottanta, infatti, risale anche il piano urbanistico di Sant’Antimo, centinaia di migliaia di euro spesi per farne uno, firmato da Alessandro Dal Piaz, mai passato in aula. E l’architetto Uberto Siola ne fece un altro, mai attuato.
La camorra santantimese si opponeva a ogni tentativo di pianificazione armoniosa del territorio, ambiva al caos urbanistico per mettere a rendita il territorio attraverso speculazioni edilizie con lo scopo di riciclare i proventi delle numerose attività illecite.
Sant’Antimo entrava, infatti, con decisione nel mirino della magistratura e delle forze dell’ordine nel 1987: licenze edilizie facili, mandati di pagamento e contributi della legge 219 per la ricostruzione post terremoto con il trucco e poi una inquietante vicenda di brogli elettorali pochi giorni prima delle elezioni amministrative del 1988. A casa di parenti dell’ex sindaco socialista, Salvatore Nardi, furono trovate schede elettorali e documenti di cittadini.
Il Comune di Sant’Antimo, che dai cronisti dell’epoca veniva definito il Palazzo fuorilegge, fu sciolto nel 1991 per infiltrazione della criminalità organizzata. La giunta Pds-Psdi-Psi, guidata dall’allora sindaco Santo Carlea, parlava di manovre elettoralistiche. In realtà, gli amministratori comunali erano sottoposti a condizionamenti così pressanti da compromettere la libera determinazione dell’organo elettivo e la camorra stava facendo affari d’oro con l’abusivismo edilizio. La relazione della Commissione parlamentare antimafia del 1991 individuava, infatti, tre linee fondamentali di presenza della camorra nei settori dell’urbanistica e della edilizia a Sant’Antimo: fornitura del cemento e della manodopera, riciclaggio del denaro “sporco” attraverso l’acquisto di terreni da lottizzare e l’ingerenza della criminalità nel consiglio comunale per controllare l’urbanizzazione del territorio.
Secondo uno studio di quegli anni realizzato dall’architetto Cesare Ulisse per conto dell’allora amministrazione provinciale di Napoli, il comprensorio frattese (Frattamaggiore, Casandrino, Frattaminore, Sant’Antimo, Grumo Nevano) diventò in quel periodo il territorio più denso di abitanti, oltre 5500 unità per kmq, con un incremento vani del 186,42 per cento.
Le foto e gli articoli dell’epoca propongono uno scenario drammatico delle condizioni urbanistiche di Sant’Antimo, mettendo a nudo i mali, i guasti e le contraddizioni di un territorio aggredito e lacerato da una molteplicità di iniziative e di interventi pubblici e privati assolutamente disancorati da una razionale strategia di pianificazione.
Alcune tra le famiglie più influenti di Sant’Antimo iniziarono una vera e propria lottizzazione di quella che doveva essere la zona industriale, ma che poi sarebbe stata oggetto di speculazioni a fini residenziali. Con lo scioglimento del Comune per camorra nel 1991 questo progetto subì una battuta di arresto. Lo Stato, attraverso i commissari prefettizi, che di volta in volta si insediavano, cercava di contrastare speculazioni e abusivismo edilizio.
Durante la consiliatura del sindaco Luigi Cesaro , con delibera di consiglio comunale del gennaio 2006, venne definitivamente affossato l’ultimo ed estremo tentativo di pianificazione del territorio di Sant’Antimo. Da quel momento Sant’Antimo divenne la patria del mattone selvaggio. Si costruiva ovunque, persino in una zona protetta come quella del bosco di Capezza, l’ultimo polmone verde del Comune di Sant’Antimo. Il mercato illegale, all’epoca, prometteva una casa nuova in città in poco meno di 10 giorni.
Sant’Antimo sui quotidiani dell’epoca era stata ribattezzata Cesaroland. A marzo del 2006 l’onorevole Silvio Berlusconi, durante la campagna elettorale, fece tappa a Sant’Antimo, dove venne celebrato con una festa faraonica nella Polisportiva. Una festa entrata nella iconografia del potere raggiunto dalla famiglia Cesaro. La sinistra con Aurelio Russo vinse due volte le elezioni contro le coalizioni di Cesaro, ma senza riuscire a governare. Da 2007 in poi governerà solo il centrodestra a Sant’Antimo.
Allora saltarono anche gli equilibri nella camorra. Francesco Verde, detto ‘o negus, aveva un modus operandi criminale di stampo tradizionale e, perciò, ritenuto incompatibile con una dimensione più affaristica della camorra, che ambiva a saldare un patto scellerato con politica e colletti bianchi. Pasquale Puca, altro boss di Sant’Antimo, era, invece, un criminale efferato, ma aveva anche una visione imprenditoriale e il sistema politico affaristico locale era dalla sua parte. Ormai, c’era un solo modo per risolvere la questione: ammazzare.
Date le condizioni, l’omicidio nel 2007 del boss Francesco Verde, è da ritenersi un omicidio di “sistema”, finalizzato all’eliminazione fisica dell’unico vero ostacolo al potere del clan Puca a Sant’Antimo. Per le imprese di camorra non era prevista la possibilità di fallimento e per questo si sviluppò una fiorente industria del calcestruzzo grazie a veri e propri comitati di affari dove politica, amministrazione, costruttori, imprenditori e speculatori vivevano in armonia.
Le istituzioni cittadine si ritrovarono in una condizioni di estrema debolezza, permeabili da parte di questi gruppi di potere che perseguivano un apparente benessere individuale, a discapito del bene comune. La debolezza del sistema democratico conferì ampi margini di discrezionalità all’apparato burocratico la cui classe dirigenziale era stata selezionata secondo logiche familistiche. Da questo momento la composizione della pubblica assise rispecchierà fedelmente i nuovi equilibri di potere raggiunti in paese. Amministratori compiacenti, direttori di banca accomodanti in grado di ricevere fiumi di denaro senza fare domande. Poi ditte e imprese per riciclarli, colletti bianchi: non più soldati in grado di sparare, ma imprenditori in grado di fare soldi.
Iniziarono, però, ad arrivare anche i primi blitz delle forze dell’ordine e della magistratura: nel 2010 più di ottanta persone vennero accusate di essere imprenditori vicini ai clan della camorra del territorio di Sant’Antimo, i Puca e i Ranucci. Ma si continuò a costruire. Si realizzarono maxi speculazioni con palazzine costruite nel nulla, vicino ai tralicci delle antenne telefoniche, con strade dissestate e disseminate di rifiuti. A pochi metri di distanza era possibile trovare case iniziate e non finite, capannoni abbandonati con i tetti di amianto, scuole, megastore, uffici, case, fabbriche con strade e servizi degni di una favelas colombiana. A Sant’Antimo era stata inventata una nuova zona: quella industriale-residenziale.
Eppure, dal 2001 ad oggi la evoluzione demografica è sostanzialmente stabile: allora perché si costruisce ancora senza sosta? Per il magistrato Nicola Gratteri: “Questo è uno dei segnali più forti della presenza della camorra. Nella normalità infatti gli imprenditori costruiscono un primo lotto, vendono gli appartamenti già sulla carta e solo dopo aver recuperato i soldi iniziano i lavori di costruzione di altri edifici. Quando avviene il contrario, e si costruisce pur avendo un grande invenduto, lì c’è l’infiltrazione della criminalità organizzata che ricicla il denaro sporco”.
La zona di Sant’Antimo, sorta dal nulla nei pressi della via Appia, ricorda la Pentesilea di Italo Calvino: un folle agglomerato di edifici, per lo più abusivi, una odiosa escrescenza sul corpo della vecchia città un tempo di una bellezza aristocratica con la piazza, la chiesa, il castello e una decina di palazzi nobiliari. Trentaduemila abitanti, ma case per sessantamila.
La casualità delle costruzioni qui ha generato una sorta di nevrastenia urbanistica. Girando in auto, può capitare di ritrovarsi all’improvviso un palazzo che sbarra la strada oppure un negozio, un bar o una scuola in un posto inconsueto. Può capitare di imboccare strade che non portano da nessuna parte oppure chiuse da un muro o da un cancello.
In molti, come scriveva Calvino, hanno accettato l’inferno di una città invivibile per diventarne parte al punto di non vederlo più. Così questa zona abusiva è diventata invisibile. Qui si spaccia, qui Sant’Antimo è diventata la nuova frontiera della prostituzione nelle case sfitte all’uscita dell’asse mediano di Aversa. Non si può vivere nella bruttezza e non esserne contagiati.
(Nei prossimi giorni la seconda parte dell’inchiesta)
(Le foto sono gentile concessione dell’archivio Vranz&Sata)
Segui già la pagina Il Crivello.it?
Commenti riguardo questo post