La nuova puntata, più lisergica e delirante che mai, della rubrica del regista e drammaturgo napoletano Sandro Dionisio, che racconta a modo suo il "balletto" della crisi di governo
Vengano signori vengano: lo spettacolo sta per cominciare. Come non trovare adorabile l’inchino delizioso e ammiccante che questo governo – che ha cassato il comparto cultura della storia della Repubblica dopo secoli di gloriosa ribalta – fa al mondo della messa in scena? Oh, contrappasso sublime! Il parlamento affronta il suo stesso decadimento in forma di spettacolo o per meglio dire di balletto. Un balletto, va pur detto, raffinato e ricercato sotto forma di rondò, una danza forsennata e implementare dove tutti si accompagnano democraticamente con tutti, senza più (era ora) distinzione di colore politico, di sesso, di ceto sociale o di credo ideologico. Come nelle danze immortalate da certo cinema sopraffino nelle stanze affrescate del potere, damerini alliccati e lungimiranti si lanciano in movenze spericolate e spettacolari, si librano sopra la folla del comune sentire, finalmente liberi da qualsiasi legame coi cittadini o di dovere etico-morale.
A noi comuni mortali non è concesso di comprendere questa danza vorticosa sui cumuli di macerie della nuova peste. A noi le bollette, la disoccupazione e figli rumorosi che sostano in casa provati dall’ennesimo esercizio di geometria cui nemmeno lo zio matematico riesce a trovare soluzione. Alla politica il volo pindarico del corpo, l’amore inimmaginabile di questi “non” eletti dal popolo per la vertigine della musa tersicorea. Il corpo (della politica) canta e detta le sue leggi sregolate. Come nelle comiche dei pionieri del muto a turno e litigando si entra da una porta girevole uscendone di nuovo dall’altra parte, tutti uniti e allegramente compattati. A chi pensava con la pandemia di aver visto l’inconcepibile, il punto estremo del fantastico bestiario italiano, la politica ha dato dunque un salutare e necessario esempio di realismo magico. Tutto, in questa crisi di governo, appare fantastico e degno dei prestigiatori e illusionisti più epici: poltrone o ministri telecomandati che vengono fatti sparire, deputati che cambiano casacca in pubblico mostrando pubenda e corpi non certo da atleta o svaniscono dal gruppo parlamentare formato poche ore prima, come l’uomo invisibile alla vista del cattivo di turno.
Cosa non si fa per il gradimento del pubblico degli elettori sconcertati, ma pure levati in una meccanica standing ovation. L’ex segretario del più grande partito popolare italiano che ha accoltellato alle spalle il proprio stesso consesso ideale, lo zombie della Prima Repubblica che reindossa il doppio petto dell’occasione buona, “Certo, Ale, mi va un po’ stretto sulla pancia, ma faccio sempre la mia porca figura, ‘sti zotici sagliuti manco sanno come si annoda un papillon o no?”: il becero, poi, affermerà con innocenza disarmante di aver ritirato la moglie (e vai d’illuminato femminismo) dalla pattuglia dei soccorritori quando è divenuto chiaro che l’inciucio non lo ripagava nella misura da lui prevista.
C’è, poi, il poco “onorevole” dal passato dubbio e dalle frequentazioni compromettenti che cerca di legittimarsi come statista, mediando le isterie degli alleati giovani e arrapati di potere, pensando magari alla prossima elezione per il presidente della Repubblica. Il rondò com’è d’uopo è vorticoso e irresistibile. L’amore per il gesto artistico e per la pura forma compensa di gran lunga la mancanza totale di senso e di strategia politica, che questi disonorevoli deputati stanno rappresentando al mondo intero al limitare di un abisso profondissimo di dolore e di morte che è rappresentato dalla pandemia, dalla chiusura di migliaia di piccole imprese e dalla disoccupazione di milioni e milioni di italiani.
Tra i molti commentatori autorevoli e sussiegosi (sempre gli stessi, mio dio no!), che affollano le platee televisive, sempre pronti a dispensare qualche perla di ovvia saggezza, a me pare che nessuno abbia colto la vera natura del problema, che è in realtà un semplice, puro e raffinatissimo amore per il gesto artistico in sé: astratto, un cogitare filosofico, insomma. Ciò che conta non è tanto, come si affannano a ripetere tutti i deputati che cambiano casacca, il programma politico o l’ennesima spregiudicata piroetta dello spregiudicato deputato di Forza Italia al quale si deve la lodevole depenalizzazione del falso in bilancio, quanto il gesto atletico del balletto, questo empito nobilissimo di unire la propria anima a corpi estranei, magari un attimo prima ostili.
Risulta chiaramente fazioso e pedante guardare a queste manovre come biechi giochi d’interesse economico o politico. L’insensatezza stessa della manovra depone a favore di un esercizio gratuito e innocente. È un’evidente dichiarazione di libertà interiore. Il fine ultimo della bellezza è talmente evidente nell’orizzonte di questa danza scriteriata che solo gli incolti e i malevoli possono vedere in essa altro che un puro, arditissimo gesto artistico. Bolle, pensaci tu! Lo confesso: io penso piuttosto a questo balletto istituzionale come a una raffinatissima meditazione filosofica socratica, probabilmente innescata nell’animo sensibilissimo dei nostri politici dal clima mortale della pandemia. Platone, nel suo Fedone afferma: “Socrate confessa di sentire negli ultimi giorni della sua vita l’esigenza imperiosa di coltivare la poesia. Spesso nella vita passata mi si presentava lo stesso sogno apparendo però in forme diverse e mi diceva sempre: Socrate componi e coltiva musica! E io credevo che il sogno m’incitasse a fare quello che già facevo cioè filosofia pensando che la filosofia fosse la musica più alta. Ma ora mi è venuto lo scrupolo che il sogno volesse intendere la musica nel significato comune popolare, cioè di poesia. Perciò mi è sembrato conveniente obbedirgli prima di morire, così prima composi un inno ad Apollo e poi espressi in forma poetica le favole di Esopo a me assai familiari”.
Allo stesso modo, io credo che i politici italiani, nell’approssimarsi di ore di decisioni fatali, recovery fund e pioggia di miliardi dall’Europa, Mes sì o no, vaccini garantiti alla popolazione o meno, e diffuso malessere mortuario nel continente, ma soprattutto in vista della fine della legislatura, in questo clima definitivo, dicevo, io credo che i nostri politici abbiano sentito forte l’esigenza di esprimere il proprio talento per le arti e, nello specifico, per quella tersicorea. Un balletto iniziatico e propiziatorio ispirato dalla legge della opposizione/attrazione dei poli esistenziali opposti. Il piacere e il dolore, per la legge psicologica del contrasto, si alternano. Un sentimento tende ad assumere la qualità e l’intensità opposte a quelle del sentimento antecedente. Così, con finezza psicologica e lungimiranza strategica, la politica sta portando il Paese sul baratro dell’abisso, non per vane e fatue contrapposizioni personalistiche, bensì per evocare in modo più forte e definitivo lo spettro della gioia (non a caso, l’uso estenuato della danza) dopo quello del dolore e della disfatta mortale. Questa l’analisi, diciamo così, personale e concettuale: veniamo dunque ad alcuni suggerimenti pratici per superare l’empasse, alcuni esercizi di pratica bioenergetica consigliati al cittadino comune, soprattutto se in odore di pericolosa e destabilizzante diffidenza antipolitica.
Il primo. A gambe leggermente divaricate controllate il respiro, lasciate fuori dalla stanza possibilmente luminosa e ben riscaldata ogni pensiero negativo e la minore dei rampolli frignanti con cui vi siete riempiti l’esistenza; a gambe leggermente divaricate, dicevo, dopo una serie di respiri profondi cercate di toccarvi le punte dei piedi con le mani e, senza piegare le ginocchia, distendete l’intera muscolatura della schiena, poi puntate lo sguardo sull’appartamento del dirimpettaio odioso, pensate che questi sia il maledetto toscano e, badando di alzare al massimo il volume dello stereo per non ritrovarvi i pompieri in casa, emettete un nuovo profondo respiro diaframmatico ed espirando modulate un potentissimo oceanico “Vaffanculo” rivolto alla pandemia, al 2020 sì (vabbè, ma è passato ormai da un mese e che fa?), al presidente del consiglio avvocato dal curriculum pezzotto, al più grande partito popolare del Novecento (ma che fine di merda però, diciamolo pure, ma a bassa voce), al comico fallito divenuto milionario imprenditore della politica e poi scioltosi nelle sue tenute liguri e a tutte le ridicole gattemorte siliconate una volta di bell’aspetto, ora già gonfie di potere e di insoddisfazione che qualche leader ha elevato al rango di politico.
Il secondo. Distendetevi su un tappeto morbido con un cuscino sotto il capo e cercate di individuare, appena sotto lo sterno, il punto esatto in cui la rabbia e l’insoddisfazione premono contro le vostre membra avvelenandole. Per quanto possibile, svuotate i polmoni lasciando che la schiena aderisca pienamente all’accoglienza della terra sotto di voi. Immaginate la danza ricercata e ardita che la classe politica sta offrendo per il nostro diletto e ristoro (che sarà l’unico, ci pare di capire), sollevate il bacino dieci volte con la forza della respirazione e contraendo i muscoli dei glutei, quindi trattenete il fiato e, una volta raggiunto uno stato di perfetto nirvana, modulate un potentissimo oceanico “Vaffanculo” rivolto alla pandemia, al 2020 sì (vabbè, ma è passato ormai da un mese, tanto è sempre il solito schifo), al presidente del consiglio avvocato dal curriculum pezzotto, al più grande partito popolare del Novecento (ma che fine di merda però, diciamolo pure, ma a bassa voce), al comico fallito divenuto milionario imprenditore della politica e poi scioltosi nelle sue tenute liguri e a tutte le ridicole gattemorte una volta di bell’aspetto, ora già gonfie di potere e di insoddisfazione, che qualche leader ha elevato al rango di politico. Oppure, mandate a memoria il ritornello di quel brano paradigmatico e urlate a tutta voce ai damerini del potere… Com’era… Ah, ecco: “C’ho le papille gustative interrotte, l’occhio spento, il viso di cemento, tu sei il mio piccione, io il tuo monumento… No, perché io ci sono, anzi, magari sto qui a prometterti il voto anche per le prossime elezioni… E allora? Mi vuoi mettere una scopa in culo così ti ramazzo la stanza?”.
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