Lo scorso 27 febbraio l’agenzia statunitense per il controllo dei farmaci, la Food and drugs administration (o Fda) ha autorizzato l’implementazione del vaccino Johnson & Johnson nel piano vaccinale statale. Un traguardo importante, che il presidente Biden ha salutato positivamente, anche sull’onda del giudizio favorevole espresso dall’esperto della Casa Bianca, Anthony Fauci. Entro la fine di giugno, l’azienda farmaceutica potrebbe riuscire a fornire agli Stati Uniti ben cento milioni di dosi del vaccino, in un momento critico per il Paese, che affronta una fase stazionaria per quanto riguarda il numero di contagi giornalieri.
Il via libera da parte delle autorità statunitensi è un forte incentivo anche per l’Ema, l’ente europeo per il controllo dei farmaci sul mercato comunitario. Il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi ha auspicato, intervenendo sul tema durante la trasmissione Mezz’ora in più su Rai Tre, una pronta conferma da parte dell’ente dell’Unione Europea, che consentirebbe di analizzare e impiegare al più presto il nuovo vaccino anche in Italia. Anche se nulla è ancora certo, già in estate potrebbero giungere le prime dosi a Roma.
Il nuovo vaccino, chiamato specificamente JNJ-78436735 o Ad26.COV2.S., ha dimostrato di essere sicuro già a partire dai dati ad interim delle prime fasi di sperimentazione. Nelle fasi successive di sperimentazione ha inoltre fatto registrare un’elevata efficacia, rispettivamente del 100% nell’evitare morte e ospedalizzazione del paziente, dell’85% nel prevenire forme severe della sindrome e una efficacia “complessiva” del 72%. Gli effetti collaterali rilevati sono stati temporanei (1-2 giorni) e di lieve entità: i partecipanti ai trial hanno riscontrato principalmente febbre, dolore sul sito di iniezione e mal di testa. Sebbene vi siano preoccupazioni riguardo decrementi di efficacia nei confronti delle nuove varianti, il vaccino si è già dimostrato efficace almeno al 64% contro la temuta mutazione sudafricana. Inoltre, la risposta immunitaria riguardante la produzione di anticorpi neutralizzanti, quelli cioè che impedirebbero il contagio, sembra essere molto buona: dai dati in possesso della comunità scientifica emerge che, almeno per poco più di settanta giorni dall’iniezione, il paziente mantiene tra il 97 e il 100% del titolo anticorpale.
Il nuovo vaccino consiste in un segmento di Dna virale inserito in un capside di adenovirus 26, un virus modificato e “debilitato” non in grado di generare un’infezione pericolosa. Un meccanismo, questo, rodato in dieci anni di studi, al contrario degli innovativi vaccini a Rna di Pfizer-BioNtech e Moderna. Grazie alla protezione del “corpo” dell’adenovirus, il Dna è meglio conservato e più resistente: il siero può essere trasportato anche a 34-36 gradi e conservato a questa temperatura fino a tre mesi.
Il frammento di Dna contenuto nell’adenovirus permette alle cellule umane di codificare la proteina spike con cui il virus penetra nella membrana cellulare. Una volta che il nostro corpo ha prodotto questa parte di per sé innocua del virus, a seguito delle complesse vie di riconoscimento e allerta messe in atto dal sistema immunitario, vengono prodotti anticorpi in grado di eliminare facilmente le infezioni successive, garantendo la protezione dalla malattia. È lecito dire che il farmaco sia frutto di una tecnologia ben collaudata e notevolmente sperimentata in vaccini analoghi usati in passato, fattore che dovrebbe portare a minori preoccupazioni anche tra i non addetti ai lavori. Il governo statunitense ha un accordo per 10 dollari a dose, prezzo lievemente inferiore rispetto a quello di Pfizer-BioNtech. Un altro grande vantaggio del siero Johnson & Johnson, oltre al fatto di essere facile da conservare e trasportare, è sicuramente quello di essere somministrato con una singola iniezione, a differenza di tutti gli altri rimedi ad oggi disponibili, che richiedono uno o più richiami nelle settimane successive alla prima inoculazione.

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