Sono all’incirca sei le sottovarianti del virus SarsCoV2, tutte derivate da Omicron, che stanno circolando in Cina e nel resto del pianeta e su cui sono concentrate le attenzioni degli scienziati di tutto il mondo: il 35% era rappresentato dalla sotto-variante BA.5.2, il 24% da BF.7, il 18% da BQ.1 (Cerberus), il 5% da BA.2.75 (Centaurus), il 4% da XBB (Gryphon) e il 2% da BA.2. Sono state segnalate anche le sottovarianti BA.5.6, BA.4.6, BM.4.1.1 e BA.2.3.20. Tutte appartenenti alla famiglia di Omicron, nessuna desta particolare preoccupazione ed i sintomi sono pressoché invariati e simili a quelli dell’influenza: mal di gola e tosse, raffreddore, stanchezza, dolori muscolari e articolari. Ma è la Kraken o sottovariante Covid Xbb1.5, quella che gli scienziati tengono costantemente monitorata.

L’epidemiologo britannico Tim Spector, cinguetta su Twitter: ” Xbb1.5 potrebbe essere la nuova variante a cui prestare attenzione nel 2023″. Secondo le stime di alcuni studiosi della Columbia University ”è molto probabile che la sottovariante Covid Xbb1.5, abbia avuto origine negli Stati Uniti, con il primo caso rilevato nell’area di New York ad ottobre 2022”. Frattanto, dai dati forniti dell’OMS, dall’autunno ad oggi, questa sottovariante è stata identificata in più di 25 paesi.
La Kraken deriva da una mutazione della prima sottovariante di Omicron XBB nota come Gryphon (un ricombinante delle varianti BA.2.10.1 e BA.2.75) entrambe in grado di eludere gli anticorpi acquisiti con i vaccini o il contagio e pertanto secondo gli esperti a differenza delle altre varianti, Kraken riesce a resistere di più alle nostre difese immunitarie. Kraken è una forma evoluta e pertanto maggiormente in grado di legarsi ad ACE2, cioè il recettore presente sulla superficie delle cellule di diversi organi, attraverso cui il Coronavirus si fa strada nel nostro organismo.

Insomma, per gli esperti Kraken potrebbe generare una nuova ondata di contagi ben più grave di quella legata a Omicron. Uno scenario questo, che inizia a delinearsi con l’aumento di ricoveri e di decessi segnalati negli ultimi tempi in Usa. Poche e parziali sono le informazioni che ad oggi si hanno circa la reale aggressività della sottovariante, ma senza generare allarmismi è sempre bene prevenire con le buone pratiche che abbiamo oramai imparato tutti da qualche anno a questa parte :disinfezione costante delle mani, screening e tamponi rapidi, indossare mascherine di alta qualità, ricambio efficace e costante dell’aria nei luoghi chiusi e vaccini aggiornati.
Intanto i ricercatori a proposito degli antivirali informano “i nostri risultati suggeriscono che remdesivir, molnupiravir e nirmatrelvir sono efficaci contro BQ.1.1 e XBB in vitro”. Si tratta di una “buona notizia”, afferma in un tweet Roberto Burioni, professore di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, e continua, “la sanità pubblica si dia una svegliata e usiamoli”.
