Si rincorrono un po’ dovunque notizie sempre più allarmanti su una riapertura delle scuole “in presenza” non più così certa come poteva essere, almeno sulla carta, fino a un mesetto fa. Il motivo, naturalmente, è da ricercarsi in una curva del contagio da Covid-19 che continua a crescere un po’ in tutta Italia, come inevitabile effetto delle riaperture delle attività ludico-ricreative decise o avallate dal Governo per il periodo delle vacanze estive. Parallemente, in queste ore, dall’Istituto superiore di sanità fanno sapere che nell’ultimo mese l’età media di coloro che vengono contagiati dal Coronavirus s’è praticamente dimezzata per attestarsi intorno ai 35 anni, mentre infuriano le polemiche per la chiusura delle discoteche dopo Ferragosto da parte del Governo (col Tar del Lazio che in mattinata ha bocciato il ricorso dei gestori). E sempre in queste stesse ore il Comitato tecnico scientifico sta elaborando le regole per il possibile ritorno in aula in sicurezza (già anticipate in mattinata), mentre da Nord a Sud – anche da Napoli, in un Cotugno che è di nuovo sempre più pieno – i medici tornano a far sentire forte la loro voce parlando apertamente di “contagi dovuti all’irresponsabilità diffusa che c’è in giro“.
A pagare pesantemente la nuova situazione che si sta sviluppando in Italia in questi giorni, con numeri del contagio comunque ben più controllabili rispetto a quelli di altre nazioni europee come Spagna o Francia ma anche Germania, potrebbero essere proprio gli studenti italiani di tutte le età, che vedono di nuovo a rischio il concreto ritorno in aula a settembre, seppur con tutte le precauzioni antivirus, dopo essersi potuti però godere un’estate fatta quasi dappertutto di assembramenti incontrollati fuori a baretti, pub, lidi, discoteche molto spesso ben oltre qualsiasi regola di civiltà ed etica. In tale contesto, ha fatto molto discutere, soprattutto nello sciocchezzaio dei social ma anche sui media tradizionali, l’imbarazzante dichiarazione della sedicenne star di TikTok Gaia Bianchi, giovanissima influencer da 460mila follower su Instagram e oltre un milione e 100mila proprio su TikTok (il social prediletto da ragazzine e ragazzini), la quale in un video poi rimosso dopo le polemiche scatenate ha detto senza mezzi termini, rivolgendosi al Governo, “Se chiudete le discoteche io non vado a scuola”, senza pensare minimamente all’influenza che le sue parole avrebbero potuto avere su quel milione e passa di seguaci telematici. Il riferimento di Gaia, naturalmente, era alla chiusura delle discoteche italiane decisa dall’esecutivo nazionale qualche giorno fa, non prima, però, di aver assicurato alla gioventù italica il corretto svolgimento di party di Ferragosto quasi dovunque tenutisi in contesti di palese illegalità rispetto alle norme vigenti in materia di contenimento dell’epidemia da Coronavirus. Basta dare un’occhiata a un qualsiasi servizio giornalistico sulle notti ferragostane riminesi o della Sardegna più vip e gaudente, ma anche limitarsi a leggere le cronache dei giorni scorsi – quelli più caldi dell’estate, in tutti i sensi – da Ischia, Capri o dalla Penisola sorrentina e dalla Costiera amalfitana.
Il sospetto, senza timore di passare per bacchettoni ma nemmeno nascondendosi dietro un dito, è che da parte del Governo, in un momento di oggettiva difficoltà per tante imprese del settore dell’intrattenimento e del tempo libero, sia stata fatta una scelta, legittima come tutte le scelte (anche se proprio oggi, in un’intervista al Fatto quotidiano, il premier Conte ha precisato che il suo esecutivo non aveva “autorizzato l’apertura delle discoteche“, pur ammettendo: “Abbiamo lasciato fare per alcuni giorni“), per provare a far ripartire l’economia nazionale in estate a botte di party e serate danzanti, anche a rischio di sacrificare però – perché, purtroppo, le due cose paiono strettamente connesse e la curva dei contagi in una situazione simile era destinata automaticamente a crescere – la tante volte promessa e auspicata ripartenza “in presenza” dell’anno scolastico. La sensazione spiacevole, di conseguenza, è di trovarsi a vivere in un Paese che ama più le discoteche e il tempo libero piuttosto che la scuola, la formazione, la corretta crescita culturale delle sue giovani generazioni, cioè di coloro che un domani dovranno amministrare la nazione e decidere delle vite quotidiane dei propri concittadini. Senza voler arrivare agli estremi (in verità un po’ populistici) di citare quei giovani dei decenni passati, impegnati per anni, nella prima metà del secolo passato per esempio, in guerre vere e proprie, senza sapere nemmeno che cosa fosse il semplice concetto di “tempo libero”, non si può comunque non restare perlomeno perplessi di fronte a milioni di italiane e italiani, pur provati da tre mesi di quarantena, incapaci di porsi in modo altruistico ed eticamente più consapevole nei confronti del proprio contesto sociale di riferimento e, magari, decidere di trascorrere un’estate comunque all’aperto, comunque tra amici, comunque in libertà e divertito relax ma, magari, evitando quei comportamenti “a rischio” (primi tra tutti gli assembramenti in barba a qualsiasi norma di igiene e sicurezza) che, nel medio-lungo periodo, potrebbero rivelarsi dannosi innanzitutto per se stessi (costretti di nuovo a mesi di didattica a distanza, lontani dalle amicizie e privati del fondamentale surplus formativo derivante dai rapporti personali dal vivo che si instaurano nella quotidianità di un’aula scolastica) e ancora di più per i loro affetti familiari in età più avanzata, genitori e nonni che, di fronte a quel virus inconsapevolmente portato dai propri figli e nipoti tra le mura domestiche, potrebbero vedersela davvero brutta in quanto meno resistenti e più fragili fisicamente.
Naturalmente, non si vuol gettare la croce (e non è giusto farlo) sui più giovani o sul “popolo del by-night“, poiché nel momento in cui il Governo ha avallato o in qualche modo comunque permesso la riapertura di locali e discoteche (per poi chiudere tutto tardivamente e in modo persino un po’ ipocrita) quanto accaduto era forse inevitabile. E allora, chissà, si sarebbe potuto magari intervenire con maggiori incentivi, sgravi, aiuti economici per l’intero settore del lifestyle e del tempo libero, provando a convincere così gli enti locali e soprattutto gestori e proprietari a “passare” per questa stagione (d’altra parte, cinema e teatri sono ancora deserti da oltre sei mesi!) in attesa di tempi migliori? Forse sì o forse no. Così facendo, però, si sarebbe almeno potuto evitare di far emergere, in tante altre italiane e tanti altri italiani (anche loro provati da mesi di quarantena, proprio come i loro concittadini più “sbarazzini”) la spiacevole sensazione di trovarsi a vivere in un Paese che pensa di più alle discoteche che alla scuola.
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