Sono circa 1.100 i farmaci di fascia C che nel corso di questo inizio anno 2023 sono stati interessati da aumenti dei prezzi al pubblico. A confermarlo è la comunicazione diramata da Federfarma ai suoi associati lo scorso 10 gennaio, con le variazioni di listino registrate dalla Banca dati del sindacato sulla base delle modifiche comunicate dalle singole aziende al 5 gennaio scorso.
Secondo un Decreto-Legge (conosciuto anche come Decreto Storace n.d.r) è prevista una precisa procedura in merito agli aumenti di prezzo. Più precisamente, solamente a gennaio e solo ogni anno dispari le medicine possono aumentare di prezzo, mentre per i ribassi non vi sono limitazioni. Inutile ricordare che il 2023 è un anno dispari e che siamo nel mese di gennaio. Ecco perché è molto probabile che andando in farmacia potremo spendere di più.

Nello specifico, “L’articolo 1, comma 3, del decreto legge 87/2005 ha disposto che il prezzo dei medicinali di fascia C con ricetta può essere modificato in aumento dalle imprese titolari dell’Aic soltanto nel gennaio di ogni anno dispari” rammenta Federfarma nella sua circolare. “Il prezzo al pubblico dei medicinali Sop e Otc, invece, è liberamente fissato da ciascuna farmacia o dagli altri esercizi commerciali autorizzati”.
Attenzione però ad alcune discrepanze in cui potremmo inciampare. Infatti, secondo l’articolo 125 del Testo unico leggi sanitarie (27 luglio 1934 n. 1265), gli addetti ai lavori devono effettuare severi controlli. Perché si vieta la vendita di un medicinale a prezzo diverso da quello esposto in etichetta. Federfarma conclude la sua comunicazione invitando le farmacie “a verificare le modifiche di prezzo già pervenute e quelle che perverranno entro la fine del mese, anche per ridefinire le proprie politiche di vendita, tenuto conto della possibilità di praticare sconti sul prezzo al pubblico di tali farmaci come previsto dall’articolo 11, comma 8, della legge 27/2012 Crescitalia”.

Nel frattempo, FPress (la newsletter della Fondazione Murialti) ha condotto una prima valutazione sull’entità degli aumenti di prezzo applicati dalle aziende farmaceutiche, che mostrano in media una differenza del 10,4% tra il nuovo prezzo e quello in vigore sino alla fine del 2022. Con una variabilità, tuttavia, piuttosto cospicua: per cinque referenze (sodio citrato, tadalafil, sodio cloruro, chinina cloridrato e potassio lattato) gli incrementi sono superiori al 100%, per altre quattro (a base di aciclovir, drospirenone+estetrolo e desametasone+tobramicina) la differenza tra nuovo e vecchio prezzo è inferiore all’1%.
Va detto che sui farmaci di fascia C le farmacie hanno la possibilità di praticare uno sconto al cittadino (il prezzo di listino è il prezzo massimo), mentre sui farmaci da banco non esiste alcun tipo di limitazione (e dunque i prezzi sono liberi, e possono variare in qualunque momento dell’anno).
Intanto, all’interno della Legge di bilancio è stata confermata la remunerazione aggiuntiva per le farmacie «per il rimborso dei farmaci erogati in regime di Servizio sanitario nazionale» a partire dal prossimo 1° marzo 2023. Si tratta di un ulteriore riconoscimento, da parte delle istituzioni del ruolo essenziale svolto dalle farmacie come servizio di prossimità. La conferma del riconoscimento, viene precisato, è frutto degli esiti positivi della sperimentazione effettuata nel biennio precedente 2021-22 che aveva stabilito, in favore delle farmacie, una maggiore remunerazione per i medicinali erogati con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto di un tetto di spesa di 50 milioni di euro per il 2021 e di 150 milioni per il 2022. Più o meno, in media, ciascuna farmacia italiana, riceverà 7.500 euro l’anno di contributo.
