Il nostro viaggio tra i paesi fantasma della Campania giunge al termine e si ferma in Irpinia, anche nota come la “terrazza” del Sud Italia. La parte conclusiva di questo lungo itinerario ci porta alla scoperta dei borghi e dei villaggi più spettrali della provincia di Avellino, gran parte dei quali vennero abbandonati dopo il drammatico terremoto dell’Irpinia. L’intera provincia avellinese porta ancora dentro di sé le cicatrici indelebili di quella tragica sera del 23 novembre 1980, con intere città che furono cancellate dalla storia dalle scosse implacabili del sisma. Novanta secondi di paura e di terrore che bastarono a spezzare le vite di 2.914 persone, le quali rimasero sepolte vive, schiacciate o intrappolate sotto le macerie delle proprie case, e a creare un esodo di oltre 280.000 sfollati, costretti ad abbandonare per sempre i paesi in cui erano nati e vissuti. Il terremoto del 1980 fu uno degli eventi più catastrofici che colpirono l’Italia dal secondo dopoguerra, un ricordo drammatico impossibile da cancellare, impresso per sempre nella memoria collettiva del Meridione.
La prima tappa del viaggio è nella valle dell’Ufita, più precisamente a Melito Vecchia, nel territorio di Melito Irpino. Il paese fu dichiarato inagibile dopo il terremoto del 1962 e i suoi abitanti si trasferirono definitivamente a valle. Il centro antico della città è attraversato dal fiume Ufita, che dà il nome alla valle. La storia di Melito è stata segnata fin dall’antichità da eventi catastrofici e calamità naturali: l’alluvione del 1949 segnò profondamente il paese ma fu dopo il terremoto del 1962 che gran parte degli edifici vennero abbandonati e abbattuti perché inagibili. Di Melito Vecchia si può ancora oggi notare l’impianto medievale caratterizzato da un fitto intreccio di vicoli e scalinate che avvolgono il castello mentre ai piedi della rocca sorge la chiesa di Sant’Egidio: entrambe le costruzioni sono le uniche testimonianze superstiti della città fantasma che non ha tuttavia smesso di conservare il suo fascino tetro e misterioso.

A sud di Montecalvo Irpino, lungo la dorsale collinare dell’Appennino, sorgeva in tempi remoti la città fortificata di Corsano. Per ricostruire le cause che hanno portato all’abbandono di questa vera e propria città “perduta” bisogna compiere un tuffo nel passato. La cittadella, sul finire del Cinquecento, era una delle località più ricche e fiorenti dell’Alta Irpinia, ma nel 1656 fu colpita da una terribile epidemia di peste che ne decimò la popolazione trasformandola in una città fantasma. A causa di tale evento l’abitato fu soppresso e le sue terre passarono alla vicina Montecalvo. Dell’antico borgo restano in piedi solamente i ruderi del castello baronale, mentre ciò che rimaneva del paese dimenticato venne definitivamente distrutto dal terremoto del 1930 fino a scomparire definitivamente dalle carte geografiche.

Il nostro viaggio nel cuore dell’Irpinia fa tappa nel vecchio paese di Conza della Campania. Il nucleo originario della città si trova adagiato su un dolce promontorio che si eleva sul Lago di Conza e sulla valle dell’Ofanto. Il paese venne raso al suolo dal catastrofico terremoto del 1980: l’epicentro del sisma che mise in ginocchio l’Irpinia si verificò a pochi chilometri da qui, lasciando dietro di sé una lunga scia di devastazione. Gran parte degli edifici collassarono su se stessi e del vecchio paese, già dilaniato in passato da altri terremoti, non rimase quasi nulla. Nei giorni successivi al disastro, a Conza, si contarono 184 vittime. Nessuno dei sopravvissuti potè mai dimenticare lo scenario di distruzione che fu costretto a vivere. Nei pochi edifici rimasti in piedi tutto è rimasto fermo a quel tragico 23 novembre: nelle case ci sono ancora i giocattoli, i vestiti, le posate e gli oggetti forse appartenuti a chi, durante quell’interminabile domenica sera, provò a mettersi in salvo. Eppure questo luogo spettrale in cui riecheggia dal passato il dolore di chi perse tutto si trova immerso in uno dei paesaggi più incontaminati dell’Irpinia. Grazie alle sue peculiarità ambientali il Lago di Conza è dal 1999 sotto la tutela del Wwf che lo ha trasformato in una stupenda oasi naturalistica, inoltre, dalle macerie della città distrutta, sono venute alla luce le rovine dell’antica Compsa, ciò a dimostrazione che anche lì dove tutto sembra perduto può rinascere la vita.

Sempre in Alta Irpinia, nel territorio di Aquilonia, si trovano i resti l’antica Carbonara. Il declino della città iniziò nel 1930 a causa degli ingenti danni che subì l’abitato durante il terremoto del Vulture. In seguito al sisma il nuovo paese venne ricostruito in un luogo più sicuro rispetto alla posizione originaria, così il vecchio borgo rurale andò spopolandosi fino a subire un lento e inesorabile abbandono nel secondo dopoguerra. Dell’antica città rimangono in piedi alcuni palazzi, il municipio e le mura del castello. Il sito è stato inglobato nel parco archeologico del Museo etnografico Beniamino Tartaglia, che raccoglie numerosi reperti che testimoniano la storia della civiltà contadina dell’Appennino. Non lontano da qui si trovano inoltre il Lago di San Pietro, di notevole interesse naturalistico ed entrato a far parte dei luoghi del cuore del Fai, e Monteverde Irpino, meraviglioso centro abitato inserito nel circuito dei borghi più belli d’Italia.

Il nostro lungo viaggio alla scoperta delle ghost town dell’Irpinia giunge così a conclusione nell’Alta valle del Sele, più precisamente a Senerchia, antico borgo abbandonato situato sulle propaggini dei monti Picentini. La parte più antica del paese venne abbandonata dopo il terremoto dell’Irpinia in quanto il sisma danneggiò gravemente molte abitazioni rendendole inagibili. La città nuova venne ricostruita poco più a valle rispetto al vecchio centro abitato il quale si spopolò gradualmente. Le spettrali case del borgo si trovano aggrappate al versante montuoso ricoperte da una fitta vegetazione mentre sono in esecuzione diversi interventi di messa in sicurezza per rendere accessibile l’area. A due passi da qui si trova l’oasi naturalistica Valle della Caccia, un’area protetta gestita dal Wwf che custodisce importanti testimonianze della fauna e della flora appenninica, oltre ad affascinanti grotte e alle spettacolari cascate dell’Acquabianca. In questo angolo di paradiso, dove la natura resta incontaminata da secoli, è possibile avvistare numerose specie animali protette tra cui il lupo appenninico, il falco pellegrino, il gheppio, l’aquila e la rarissima salamandra pezzata. Si tratta di un patrimonio faunistico dal valore instimabile e che merita di essere salvaguardato e tutelato.

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