Franz ha avuto un infarto. Franz ha smesso di scrivere. Franz si è dato alla musica. Franz non pubblica da tempo. Le voci sul web, con il passare degli anni, si rincorrono; la verità è una sola: lo scrittore Franz Krauspenhaar è tra noi e continua a scrivere con forza sempre più incisiva. La presenza e l’assenza (Arkadia Editore, collana Sidekar, 158 pagine, 15 euro) è l’ultimo libro di Krauspenhaar. Abbiamo a che fare con un noir che si sottrae alle regole del genere, per imporsi con una sola legge: raccontare una buona storia e tenere la migliore compagnia possibile al lettore.
Nel lungo percorso autoriale di Franz trovano spazi diversi libri, che esaltano i più disparati generi letterari, eppure lo scrittore milanese anche stavolta è riuscito a stupire i suoi lettori e a dare del filo da torcere agli addetti ai lavori del panorama letterario italiano. Se la scrittura, come sua prima peculiarità, per essere intensa e sincera ha bisogno di convivere con una forma e una dignità propria – che esulano da strategie commerciali nate a tavolino per molti libri di genere – bisogna pur riconoscere che Franz Krauspenhaar da scrittore puro qual è quando mette le mani sulla tastiera dà tutto se stesso, pur di non affidare al lettore opere prive di una riconosciuta qualità narrativa.
In questo coinvolgente libro scopriamo che Guido Cravat, ex poliziotto, svolge attività da investigatore privato in una Milano che non fa sconti a nessuno. Un industriale milanese chiamato Tommei lo ingaggia per ritrovare la moglie. In questa ricerca, grazie a una scrittura precisa e misurata fino all’ultima parola impressa sulla pagina, si snodano una serie di vicende che sconvolgono i canoni del genere noir, per mostrare una storia ruvida e spigolosa come una forma geometrica irregolare, ma pur sempre capace di intrattenere il lettore nel gioco della lettura.
Se la storia ha una sua struttura agile ed elegante, che esula da strategie narrative già percorse da molti, allo stesso tempo i dialoghi di questo romanzo sono cesellati con talento e passione, senza mai dimenticare un ritmo della parola che è in grado di produrre autonomia discorsiva, brio narrativo e forza immaginativa in un sol gesto finale. Gli investigatori privati che nascono dalla mente di Krauspenhaar sono sempre creature umane poco docili e dallo sguardo duro: scendono a patti solo con la propria anima, pur di immergersi a capofitto nel largo sottobosco della società contemporanea.
Eppure, della presenza di Guido Cravat, fin dalle prime righe, abbiamo bisogno: lo vogliamo vicino, per superare la paura dell’assenza che ci attanaglia nel vivere quotidiano a cui ci sottopone questa esistenza. La paura, in un romanzo come questo, ha un proprio nome e vive di una forza abbacinante. Così come i personaggi non comuni hanno un proprio ruolo definito, lo stesso si può dire dei cattivi di mestiere, che fino alla fine della storia si danno da fare per operare sul serio nel malaffare.
Non si può non amare un libro come questo: ogni elemento narrativo è al suo posto, ogni parola scivola tra le righe come un marchingegno dotato di autonomia propria, una piccola macchina letteraria messa a punto da un abilissimo artigiano della scrittura che ha svolto il suo lavoro nel migliore dei modi.