Un trionfo pazzo e attesissimo che, come spesso capita in occasioni storiche, è giunto ammantato di circostanze del tutto eccezionali. La Premier League si tinge di rosso: il Liverpool è campione d’Inghilterra. Campione d’Inghilterra, bisogna aggiungere, per la diciannovesima volta nella sua storia, ennesima gemma di un palmarès imponente che, solo nell’anno appena trascorso, è stato arricchito da una Champions League, da una Supercoppa Uefa e da una Coppa del mondo per club. Eppure, allo stesso tempo, è la prima volta che i Reds mettono le mani sul massimo trofeo calcistico inglese da quando questo ha preso il nome di Premier League: sono infatti passati ben trent’anni esatti da quella stagione 1989/90 in cui il Liverpool si laureò per l’ultima volta campione di un torneo che, allora, si chiamava ancora First Division. Era la squadra in cui militavano leggende come Ian Rush, Alan Hansen e l’allenatore-giocatore Kenny Dalglish, il ricordo della tragedia dell’Heysel era ancora vivido nelle menti di tutti e, in generale, il mondo era profondamente diverso, sia fuori sia dentro lo stadio di Anfield.

Da allora, una piccola maledizione era scesa sui campionati dei Reds: i trofei certo continuavano ad arrivare, ma la strada verso il primo posto in classifica era rimasta, da allora, come sbarrata da una forza ineffabile. Il calcio, come tante altre vicende umane, non è assolutamente impermeabile al romanticismo e al senso del magico e, anzi, se ne nutre avidamente per creare grandi miti e passioni irrazionali. Da quel 1990, il cammino del Liverpool verso il diciannovesimo titolo è stato lastricato di capitoli importanti della storia del club inglese, ognuno dei quali ha contribuito ad accumulare una strana energia cinetica per quello che, oggi, è un risultato che dalle sponde della Mersey dipana la propria eco nelle case di tifosi sparsi ai quattro angoli di un mondo ferito dal Coronavirus. Sì, perché su questa strada lunga tre decenni i tifosi della Kop hanno visto di tutto, nel bene e nel male. Solo per citare i bei ricordi, tra il diciottesimo e il diciannovesimo titolo del Liverpool ci sono 2 Champions League, una Coppa del mondo per club, una Coppa Uefa, 3 Supercoppe Uefa, 3 Coppe d’Inghilterra, 4 Coppe di Lega, 2 Community Shield e, soprattutto, capitan Steven Gerrard.
Un retaggio non da poco, un’eredità che oggi viene consacrata definitivamente e che può finalmente cancellare anche quella partita contro il Chelsea del 2014 in cui, proprio a causa di un errore difensivo del leggendario capitano col numero 8, il titolo sfuggì dalle mani dei Reds. Poi in panchina è arrivato Jurgen Klopp, un tedesco sanguigno e dal carisma travolgente che ha trasformato una squadra di campioni in una macchina inarrestabile, capace di arrivare a toccare il titolo con un dito già nei primi giorni di marzo. A frapporsi tra la squadra inglese e il sogno, all’improvviso, è arrivata una tragedia più grande di qualsiasi trofeo sportivo: una pandemia che ha sconvolto il pianeta e lasciato alle proprie spalle, finora, centinaia di migliaia di morti. Una tempesta terribile, impenetrabile, che ha congelato ogni cosa per settimane, relegando tante passioni umane in un limbo di cui ancora non si vede l’uscita. Ma, a Liverpool lo sanno bene, alla fine della tempesta c’è sempre un cielo dorato e la dolce argentea melodia di un’allodola.
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